Una situazione delicatissima quella dipinta da La Verità. Sembra che Mattarella abbia già deciso: l’esecutivo resterà in carica fino a maggio 2023. Pronte le manovre per piazzare tutti i suoi uomini ai vertici, impedendo ai vincitori delle elezioni di toccare palla, complice anche il Pnrr. Dimissioni anticipate per liberare le poltrone non in scadenza.
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Il Quirinale preoccupato per le elezioni
Benché Mario Draghi non veda l’ora della fine della legislatura per levar le tende ed occuparsi di altro (Nato in vista?), il discorso cambia radicalmente per Sergio Mattarella, il quale guarda allo scioglimento del Parlamento come una problema da ritardare il più possibile. Il rieletto Presidente della Repubblica guarda con fastidio alla chiamata alle urne, visto che il voto popolare potrebbe portare a un cambiamento non gradito al capo dello Stato ed al suo entourage. Al Quirinale, infatti, non muoiono dalla voglia di dover assegnare il mandato per la formazione del nuovo esecutivo ad un rappresentante del centrodestra, cosa che, secondo i sondaggi, potrebbe avvenire. Per Mattarella dare l’incarico a Giorgia Meloni o a Matteo Salvini potrebbe essere un vero incubo.
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Il centrodestra sgradito a Mattarella
L’ultimo sondaggio elaborato dal Sole 24 Ore dal professor Roberto D’Alimonte attribuisce ai partiti della coalizione del centrodestra una percentuale fra il 51 e il 52 per cento. Fratelli d’Italia sarebbe al 25, la Lega al 15, Forza Italia al 10 e Coraggio Italia intorno all’1 per cento. Per il momento si tratta solo di numeri sulla carta ma, a quanto pare, c’è già chi pensa a come allontanare il più possibile il rischio delle elezioni, anche per consentire di sistemare una serie di partite importanti che, se decise per tempo, potrebbero sottrarre ai futuri vincitori decisioni chiave che stanno a cuore a Mattarella.
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Le “date x” per la legislatura
Cerchiamo di contestualizzare: la legislatura dovrebbe concludersi il 23 marzo, visto che in quella data nel 2018 ci fu il primo insediamento. A volte, per comodità, si anticipa lo scioglimento delle Camere per evitare che le elezioni finiscano a ridosso dell’estate. In questo caso però, se potesse, il presidente della Repubblica rimanderebbe il voto a dopo l’estate e magari pure a dopo Natale. La Costituzione, però, dice che il rinnovo del Parlamento deve avvenire entro 70 giorni dalla fine della legislatura, con buona pace del Presidente della Repubblica. Dunque, considerando il 23 marzo come data di scadenza, Mattarella potrebbe arrivare fino fine maggio per fissare le nuove elezioni, cosa che darebbe al governo in carica lo spazio necessario per portare a termine diverse questioni, tra cui la sistemazione dei vertici delle più importanti aziende del Paese che, guarda caso, scadono proprio fra aprile e maggio del prossimo anno.
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350 poltrone da assegnare
Leonardo, Poste, Eni, Enel, sono alcuni dei colossi che dipendono dal ministero dell’Economia e che avranno i consigli di amministrazione in scadenza. Le nomine spetteranno a chi, in quel momento, siede a Palazzo Chigi e a via XX Settembre, sede del ministero, appunto. Dunque, allo stato attuale, sarebbero Mario Draghi e Daniele Franco ad occuparsi di decidere. Oltre alle grandi aziende, ci sono anche un’infinità di altre imprese di cui occorre confermare o sostituire la dirigenza, per un totale di 350 poltrone da assegnare ad aprile del 2023. La partita riguarda anche i vertici di alcune forze armate, come, ad esempio, la Guardia di Finanza, il cui comandante generale è già stato prorogato di un anno e dunque, tra meno di 12 mesi potrebbe essere sostituito.
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Il trucchetto delle dimissioni anticipate
Alle assegnazioni del maggio 2023 sfugge soltanto il governatore della Banca d’Italia, il cui mandato si concluderebbe a novembre del prossimo anno e la cui assegnazione spetterebbe quindi al governo entrante. Ma ecco già pronta la soluzione: Ignazio Visco potrebbe giocare d’anticipo, dimettendosi prima della fine del suo incarico. Un’indiscrezione pubblicata dal Foglio e subito smentita dall’ufficio stampa di via Nazionale, che ha precisato come «al momento» l’addio anticipato non sia previsto. Ma, in fin dei conti, «al momento» non è certo un’affermazione che trasmette certezza. Se a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, in queste condizioni chiunque vincesse le elezioni avrebbe le mani legate. Un altro ruolo importante lo giocano anche il Pnrr ed il Patto di stabilità, che faranno sì che chiunque vinca si troverà comunque indebitato per sempre.
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