Scoppia il caos in Cina. Gli istituti di credito statali in molte città sono stati presi d’assalto dai clienti dopo la pandemia. Le autorità temono una fuga di capitali all’estero, con lo yuan debole e l’inflazione elevata. Sono state 23 le misure adottate dalla Banca centrale cinese a fine aprile scorso a sostegno dell’economia cinese. Tra queste c’è la ripresa della lotta alla cosiddetta “hot money”.
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L’incubo della fuga di denaro
L’incubo della fuga massiccia di denaro all’estero inizia a diventare sempre più concreto in Cina. I motivi principali sono le quotazioni a ribasso dello yuan, l’inflazione e l’effetto dell’aumento dei tassi decisi dalla Fed. Uno dei fattori storici di debolezza del sistema cinese torna così a manifestarsi in maniera capillare e anche prevedibile. In Cina, infatti, è possibile portare all’estero yuan per un importo corrispondente ad appena 50mila dollari a persona ogni anno. Sono molteplici i fattori che hanno un ruolo in ciò che sta accadendo. Tenere in banca i soldi non è remunerativo e l’interruzione della catena dei pagamenti, preoccupa un terzo delle aziende presenti in Cina. I ritardi nelle transazioni finanziarie porterebbero inevitabilmente ad una crisi di liquidità. Sono questi i motivi per cui in Cina si stanno verificando episodi diffusi di lunghe code per ritirare risorse dai depositi, ovviamente tenuti a bada dal sistema.
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La corsa agli sportelli
Come riportato da Il Sole 24 Ore, da Shanghai all’Henan, all’immensa area di Shenzhen, una volta finita la quarantena dura, migliaia di clienti si sono riversati in banca in cerca di liquidità. Per limitare il rischio di crisi, il sistema bancario cinese ha iniziato a mettere dei paletti per ostacolare le richieste, sia nel numero dei clienti giornalieri sia negli importi da prelevare, imponendo il limite massimo di 150 dollari a prelievo. A pesare sullo scenario cinese è stata la gestione della nuova ondata pandemica, che ha comportato un fermo di oltre due mesi nel sistema produttivo. Va da sé che ora la preoccupazione principale delle imprese cinesi sia quella di proteggersi a qualsiasi costo dal continuo impatto delle stringenti gestioni della pandemia, in un contesto economico e commerciale abbastanza difficile. Comunque, si prevede che queste disfunzioni provocheranno un ulteriore deterioramento della situazione.
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La nuova strategia dei Brics
Dal canto suo, Pechino punta molto sul fronte esterno. Il governo sta spingendo molto sull’internazionalizzazione dello yuan, che ha già ottenuto una promozione ed è diventata ormai la terza moneta del paniere dei diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale, alle spalle di dollaro ed euro. Al summit dei Paesi Brics della scorsa settimana, il presidente Xi Jinping ha lanciato una proposta a sorpresa, ovvero quella di creare un paniere con tutte le monete dei Brics, alternativo a quello dell’Fmi. Nel frattempo, la Banca centrale ha già fatto due cose importanti: l’allungamento dei tempi di negoziazione dello yuan offshore e la siglatura di una serie di accordi con Bank of International Settlement.
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Le misure poste in essere dalla Cina
Ça va sans dire, Pechino ha deciso di associarsi a quei Paesi con cui intrattiene già dei solidi e collaudati rapporti commerciali. Banca centrale e Bis hanno siglato lunedì il Reniminbi Agreement
(RMBLA) con le banche centrali di Singapore, Indonesia, Malesia, Hong Kong e Cile per creare un pool di risorse che faranno da cuscinetto alla volatilità finanziaria. Dunque, il renminbi la fa da padrone, e ognuno partecipa con 15 miliardi di yuan di dote. Inoltre, la Banca Centrale Cinese ha allungato l’orario delle negoziazioni dello yuan offshore da 14 ore di apertura a 18 ore, alle 3 del giorno dopo invece delle 11.30 ora di Pechino. Così facendo, New York, causa fuso orario, potrà approfittarne per aiutare Pechino a rilanciare un mercato che durante la pandemia ha sofferto molto.
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