
Nel giro di poche ore hanno parlato la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen e l’ex banchiere centrale europeo Mario Draghi. La prima sta tentando di persuadere gli americani prima annunciando grandi acquisti di gas e ora di armi scomputandole dai limiti del Patto di Stabilità. Il secondo invece ha messo nero su bianco i limiti della stessa Unione. La prima si è dimostrata una leader insicura, balbettante, decisamente non all’altezza; il secondo invece si è confermato il leader naturale di questa Europa, che non essendo uno Stato resta una creatura tecnocratica nata dalla moneta escludendo la spada. Mi direte: ora che si parla di esercito europeo e di forniture importanti di armi, la “spada” c’è. Rispondo: la spada c’è ma non è chiaro cosa dovrebbe fare, quali confini dovrebbe proteggere e soprattutto con quale atteggiamento dovrebbe stare sul campo. Insomma, siamo sempre lì: l’Unione europea non è l’Europa unita e fintanto che non scioglie questo nodo gordiano resta una sovrastruttura che si muove con la moneta nei mercati.
Ecco perché Mario Draghi doveva essere il “capo” dell’Europa; e fa specie che lo debba sostenere io che non votai la fiducia al suo governo e lo considero pericoloso.
Tuttavia è il solo a saper leggere questa fase dove se non hai la spada devi cercare di far valere la moneta, conferendole il maggior peso possibile per non restare fuori dalle dinamiche economico/finanziarie. Draghi ha ragione quando afferma sul Financial Times che “L’Unione europea deve concentrarsi sui problemi che si è creata da sola, operando una svolta radicale, piuttosto che su quelli dovuti ai rapporti con l’amministrazione Usa a guida Trump”.
Nell’analisi dal titolo emblematico Lasciamo stare gli Usa: l’Europa è riuscita a mettersi dazi da sola, l’ex premier scrive che “ci sono due fattori, tutti europei, alla base di molti dei problemi dell’Unione. Il primo è l’incapacità di lungo termine dell’Ue di intervenire sulle penurie di approvvigionamento, specialmente sulle barriere interne e i fardelli regolamentari. Questi sono ampiamente più dannosi per la crescita di qualunque dazio possano imporre gli Stati Uniti. E i loro effetti dannosi stanno crescendo”. E ancora sulla tolleranza dell’Europa “a una domanda interna persistentemente debole, quantomeno dalla crisi del 2008. Finora l’Europa si è focalizzata su obiettivi specifici o nazionali, senza tenere conto del loro costo collettivo”.
Insomma, chiude Draghi, servono “cambiamenti radicali”. E da buon banchiere centrale ovviamente esclude qualsiasi legittimazione popolare nel nuovo cantiere europeo (che conserva la “maledizione originaria”).