Un governo che avrebbe dovuto mettere in moto la macchina delle riforme e che invece è rimasto fermo, con annunci ai quali non sono mai seguiti i fatti. E che ha finito per dare spazio soltanto alle emergenze, in ultimo quella politica che ha portato alle dimissioni di Mario Draghi, respinte da Sergio Mattarella, e a un futuro più che mai incerto. A fare il punto sul percorso dell’esecutivo è Giulio Tremonti, che alle pagine di Libero Quotidiano si è lanciato in un’analisi, al solito, senza filtri: “Il percorso di Draghi si snoda attorno a tre momenti chiave. L’insediamento, la conferenza di fine 2021 e l’oggi. Il discorso di insediamento era di ampio respiro, andava oltre l’emergenza e si sviluppava attorno a promesse di grandi riforme”.
Buone premesse, insomma. Rimaste però tali, secondo Tremonti: “Il passaggio chiave di fine 2021 è quello del ‘nonno delle istituzioni’. Abbiamo raggiunto gli obiettivi dello stato emergenziale, ora dobbiamo soltanto rilanciare l’economia e superare le divisioni. L’oggi: il cantiere delle riforme che potevano rilanciare il Paese è ancora fermo. Non c’è traccia delle grandi riforme fiscali, della giustizia, pensionistica. E il Pnrr è invischiato nella somma di tre burocrazie diverse”.
“Oggi il governo ha appena avuto la fiducia – ha spiegato ancora Tremonti – la domanda è: per fare cosa? C’era in partenza una perfetta simmetria di grande fiducia per un grande governo. Ora la fiducia è buona ed è sufficiente per curare le emergenze di quest’ultimo scorcio di legislatura, ma per le riforme strutturali abbiamo ormai perso il treno”. Poi un salto indietro nel passato, a quando Draghi era a capo della Bce. Un periodo in cui l’attuale premier è stato “mitizzato” da certa stampa, a torto secondo Tremonti.
“Del Draghi governatore della Bce io ricordo nel maggio 2011 un passaggio, che mi riguardava in quanto ministro delle Finanze, che parlava di ‘bilancio prudenziale’ e di ‘correzioni inferiori a quelle necessarie degli altri Paesi europei’. Draghi salvatore della patria? Non commento. Ma guardate, beato quel Paese che non ha bisogno di supereroi. La leggenda del whatever it takes di Draghi che salvò l’euro? Si basa su una decennale violazione delle regole europee”.
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