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Così Google, Amazon & co. hanno fregato (ancora) il Fisco italiano

Pubblicato il 16/09/2020 09:57 - Aggiornato il 16/09/2020 10:00

I colossi del web continuano a prendere il giro il fisco italiano, impegnato disperatamente nel tentativo di far pagare ai vari Google, Amazon, Facebook e compagnia quanto dovuto per gli affari fatti lungo lo Stivale. E costretto ad accontentarsi, per il 2019, di un bottino totale di 42 milioni di euro, in crescita rispetto agli anni scorsi (nel 2016 erano appena 11 milioni) ma ancora lontano rispetto ai profitti, ingentissimi, che le aziende riescono a realizzare sul nostro territorio. Per capirci, il re dei social Facebook paga alla nostra Agenzia delle Entrate un quarto delle tasse versate dall’azienda di matite piemontese Fila e meno dell’impresa di pelati Doria. Una presa in giro.

Repubblica ricorda anche come le società di diritto italiano di Amazon, che nel nostro paese fattura 4,5 miliardi, abbiano girato al fisco 11 milioni anche se il colosso guidato da Jeff Bezos si auto-attribuisce un carico fiscale diretto nel nostro Paese pari a 85 milioni, cifra che però comprende anche gli oneri contributivi sugli stipendi dei dipendenti. Un problema che non riguarda soltanto l’Italia, visto che anche i tribunali di Francia, Germania e Gran Bretagna sono da tempo impegnati in una simile battaglia. E che però ci vede, al momento, in una situazione di estrema debolezza.

Un aiuto in questo senso potrebbe arrivare dall’Ocse, l’Organizzazione dei Paesi in via di sviluppo, che è impegnata nella ricerca di una soluzione sovranazionale che consenta di affrontare il problema, trovando un metodo per convincere i colossi digitali a pagare almeno parte delle imposte nei Paesi dove si generano fatturati e utili, eliminando le complesse triangolazioni che spostano la base imponibile nei paradisi a fiscalità ridotta. Con il paradosso per cui Apple, Google, Microsoft e Oracle erano arrivati a gestire un portafoglio di liquidità offshore da 400 miliardi.

Difficile immaginare un successo assoluto, però: Trump, che è riuscito a riportare negli Usa una grossa fetta del tesoretto, ha legalizzato quelle somme con una sanatoria, con il pagamento di una tassa del 5,25%. Ora, si è schierato in difesa dei colossi digitali minacciando di sanzioni verso chi, come la Francia, ha approvato una sua web tax che nel caso di Parigi tasserà del 3% i ricavi dei colossi hi-tech sul suolo transalpino. Un ostruzionismo che difficilmente permetterà all’Ocse di arrivare fino in fondo, mentre Macron e la Merkel spingono per una tassa digitale made in Europe da varare nel 2021. Con in Paesi frugali, Olanda in testa, già pronti a mettersi di traverso.

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