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“Centomila euro di multa”. La Regione Veneto “maltratta” i no vax e finisce male. Ecco cosa è successo

Pubblicato il 15/12/2022 20:32

Alle volte giungono notizie talmente gravi che si dubita della loro autenticità. Invece, è tutto vero: in Veneto la privacy dei medici e dei sanitari che hanno deciso di non sottostare all’obbligo vaccinale è stata violata, al punto che alla Regione Veneto, ente guidato dal leghista Luca Zaia, è stata comminata una multa di centomila euro da parte del Garante per la protezione dei dati personali. La Regione ha annunciato l’intenzione di ricorrere in Tribunale, per chiedere l’annullamento del provvedimento, ma nel frattempo ha già pagato, come apprendiamo da più fonti: oltre che dagli organi di stampa veneti, come Il Gazzettino, la notizia è stata ripresa anche dal Fatto Quotidiano e sta rapidamente facendo il giro del web.

I fatti: tutto origina nell’aprile del 2021, nel clima da caccia alle streghe, allorché teneva banco la questione dell’obbligo vaccinale per medici e operatori sanitari. A quella data erano oltre 61mila i medici o gli infermieri non ancora vaccinati e, tra questi, erano in 12.500 i dipendenti diretti delle strutture sanitarie regionali venete. (Continua a leggere dopo la foto)

Le verifiche sui singoli casi, data l’ingente mole, non si presentava facile né veloce, sicché il colpo di genio: la Regione aveva coinvolto i medici del lavoro, perché si impegnassero a convincere i colleghi e, contestualmente, verificassero i motivi del mancato adempimento. Ma, perché la moral suasion fosse possibile, i medici del lavoro ricevettero l’elenco di chi non si era vaccinato e risiedesse nella provincia di propria competenza. Una vera e propria schedatura, non c’è che dire. Precisamente in questo passaggio insiste la clamorosa violazione della privacy, una comunicazione dei dati personali (Codice fiscale, cognome, nome, data di nascita e sesso) non prevista dalla Legge. Contro quell’iniziativa “erano state presentate decine di reclami e segnalazioni”, leggiamo sul Gazzettino, ciò che aveva determinato l’avvio dell’istruttoria. (Continua a leggere dopo la foto)

In questo anno e mezzo che è trascorso, la Regione si è difesa con l’assistenza dell’avvocato Maria Luisa Miazzi. Contro l’ente regionale veneto, tuttavia, pesa anche il fatto che a ciascuno dei medici del lavoro incaricati di questa ricognizione era stato trasmesso l’elenco dei non vaccinati residenti in quella provincia, come già detto, ma soprattutto con l’avvertenza di inviarlo “alla casella di posta elettronica individuale” dell’interessato e di proteggerlo con una password “comunicata attraverso un canale separato”. Netta la posizione del Garante, che scrive nelle sue motivazioni che ridurre i contagi e snellire le procedure rappresentava un fine facilmente perseguibile, piuttosto, attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione del personale presso le singole aziende sanitarie, se del caso con l’ausilio dei medici competenti, senza tuttavia ricorrere alla comunicazione di dati personali, non prevista dalla legge. Una tesi limpida e logica.

Insomma, non v’è “contesto emergenziale” – come nelle istanze avanzate dalla difesa della Regione Veneto – che tenga. La schedatura non era legittima.

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