La morte di Yevgeny Prigozhin, a 24 ore dai fatti, rimane un mistero, al di là delle teorie più disparate, magari fantasiose, sulla sua fine – e sul futuro della Brigata Wagner – perché si inserisce in una fase del conflitto tra Russia e Ucraina che è forse dirimente. E potrebbe esserlo perché, in prossimità delle elezioni presidenziali del prossimo anno, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sembra aver mutato l’atteggiamento verso l’Ucraina, se pur per ragioni di realpolitik. Il nuovo ordine mondiale che si sta confusamente disegnando, e pensiamo anche al recentissimo incontro dei Paesi del Brics, non può non prescindere dal conflitto alle porte dell’Europa e che dura dal 24 febbraio del 2022. Per quanto ci sperasse, l’Ucraina infine non è entrata né nella Nato e neppure nell’Unione europea e l’appoggio dell’amico americano diviene sempre più tiepido, tanto che lo stesso Biden pare aver già “fissato” la data (orientativa) del termine del conflitto. (Continua a leggere dopo la foto)
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Il messaggio di Biden
In un messaggio per il Giorno dell’indipendenza ucraina, celebrato oggi da Zelensky con le solite parole di ottimismo e fiducia nella vittoria, peraltro forte degli F-16 appena consegnati da Danimarca e Olanda, il passaggio chiave di Joe Biden è stato, dopo una serie di elogi al “coraggio” e alla “resistenza”: “Spero sinceramente che l’anno prossimo gli ucraini potranno celebrare il Giorno dell’Indipendenza in pace e sicurezza, sapendo come il loro straordinario coraggio abbia ispirato il mondo”. Contestualizzando tale frase, non può non emergere l’idea che il presidente USA (o forse i suoi consiglieri) stia pensando di cavalcare l’annuncio di un cessate il fuoco per presentarsi alle elezioni, nel novembre del prossimo anno, come mediatore e uomo di pace, giacché anche negli Stati Uniti, che in questa guerra per conto terzi, se ci passate la formula, hanno impiegato risorse e armi in ingente quantità, l’opinione pubblica è sempre più stanca di tutto ciò. Pesa, poi, e si riaffaccia, il tema Brics, ovvero la paura di una alleanza sempre più stretta tra la Russia e il nuovo nemico numero uno degli americani: la Cina, la stessa Cina che, entro il 2050 secondo le stime recenti di Goldman Sachs, potrebbe soppiantare gli USA quale prima potenza economica mondiale. Inoltre – almeno questa è la teoria, affatto peregrina, molto diffusa tra gli analisti e che viene ripresa anche dal sito Dagospia – negli Stati Uniti si teme il dopo Putin: anche se quest’ultimo, proprio da Biden, è stato appellato come “macellaio”, una sua destituzione, magari un golpe militare come quello tentato dallo stesso Prigozhin, potrebbe rappresentare un vero salto nel buio. (Continua a leggere dopo la foto)
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Falchi e colombe nella NATO
A riguardo delle morte del “Cuoco di Putin”, infatti, gli Stati Uniti, presumibilmente attraverso droni, satelliti e fonti di intelligence, potrebbero conoscerne l’esatta dinamica e i responsabili. Ma preferiscono non interferire, raffreddando ulteriormente il rapporto con il leader ucraino Zelensky, anche se i falchi all’interno della Nato, dunque Polonia, Paesi baltici Baltici e Regno Unito, spingono per una guerra a oltranza fino alla caduta di Vladimir Putin. Ne è prova il fatto che, sollecitato dai giornalisti sulle eventuali responsabilità dello zar dietro la morte del capo della Wagner, Joe Biden ha risposto in maniera diplomatica: “Non c’è molto di quello che succede in Russia che non sia opera di Putin. Ma non ne so abbastanza per conoscere la risposta”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Italia esclusa dal vertice
Un’altra notizia assai rilevante è che il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan (foto in alto), ospiterà da domani i suoi omologhi dei Paesi cosiddetti E3 – Francia, Germania e Regno Unito – per “discutere una serie di questioni globali, tra cui la guerra della Russia in Ucraina e le tensioni con la Cina”, come è stato testualmente dichiarato al portale statunitense Axios, solitamente ben informato, da quattro diplomatici europei. Non sfuggirà l’assenza dell’Italia, storico membro della Nato e Paese fondatore dell’Unione europea, dalla quale invece il Regno Unito si è smarcato, pur mantenendo evidentemente una posizione strategica nello scacchiere internazionale. Dunque, nonostante l’Atlantismo sempre più marcato di Giorgia Meloni, il nostro Paese sembra davvero condannato alla subalternità e a un ruolo di secondo piano. Eppure, nella “sessione di riflessione strategica” sui dossier relativi a Ucraina, Cina e Africa, su quest’ultimo tema qualcosa da dire, in merito all’epocale fenomeno delle migrazioni, l’Italia ce l’avrebbe.
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