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Si mette (finalmente) male per i Benetton. Un ciclone giudiziario pronto a travolgerli. Le indagini

Pubblicato il 19/09/2022 10:39

Altri guai per i Benetton, stavolta per un’inchiesta nata a Roma sulla ricerca forsennata di dividendi da parte dei vecchi controllori del Ponte Morandi, Atlantia, che ha come socio di riferimento proprio la famiglia Benetton. Come ricostruisce La Verità, “l’indagine è partita da Genova su input di quattro avvocati firmatari di un esposto per conto di una serie di comitati di cittadini e associazioni di categoria. I legali (Raffaele Caruso, Andrea Ganzer, Andrea Mortara e Ruggiero Cafari Panico, docente esperto di diritto comunitario) hanno anche chiesto il sequestro della società Autostrade. Il fascicolo è stato iscritto a modello 44 ovvero senza indagati, ma con precise ipotesi di reato che, secondo gli esponenti, potrebbero andare dalla truffa ai danni dello Stato al peculato (lo sperpero di denaro pubblico)”. (Continua a leggere dopo la foto)

Ipotesi adesso al vaglio degli inquirenti. “Il peccato originale è citato nei bilanci di Autostrade per l’Italia laddove si parla della cosiddetta IV convenzione aggiuntiva Anas-Autostrade del 23 dicembre 2002 il cui iter amministrativo si è concluso con un decreto legge del 2003 convertito in legge nel 2004. Ebbene quella norma prevedeva incrementi nei pedaggi che andavano ad aggiungersi alla tariffa forfettaria a chilometro introdotta nella convenzione del 1997 e propedeutica alla privatizzazione. Si trattava di una seconda quota di pedaggio destinata a finanziare nuove infrastrutture: nove svincoli, la terza corsia del Grande raccordo anulare, la quarta della Milano-Bergamo, la Lainate-Como-Grandate, la terza corsia della Rimini nord-Pedaso”. (Continua a leggere dopo la foto)

Ma soprattutto la Gronda di Ponente, nuovo tratto autostradale genovese. “Un passante del costo di 1,8 miliardi di euro, che 20 anni dopo non è (ancora) stato realizzato. Complessivamente si trattava di opere del valore di 4,7 miliardi. E quei «pagherò» o, meglio, quei «costruirò» hanno rappresentato «la base di calcoli per l’individuazione della tariffa autostradale che lo Stato permette al concessionario di applicare». Gli investimenti previsti nell’accordo sono stati sin dall’inizio inseriti nel capitale netto investito visto che al termine della concessione tra governo e società e, al netto degli ammortamenti, era previsto ritornassero sotto il controllo dello Stato. Ma parte di quelle infrastrutture, come detto, non sarebbe mai stata realizzata e i fondi destinati a esse sarebbero comunque stati incassati e serviti a finanziare il debito da 8 miliardi che Atlantia aveva contratto con gli azionisti di Aspi quando aveva realizzato l’Opa per acquistare il 53,8 per cento di azioni a un prezzo considerato all’epoca elevato”. (Continua a leggere dopo la foto)

Quella scalata venne effettuata con la nuova convenzione in tasca e l’assicurazione di poter contare su una ulteriore fetta di pedaggi. “Infatti la nuova componente tariffaria non ha sostituito quella base, che, a quel punto, rimaneva un serbatoio continuamente alimentato dai pedaggi, ma scollegato dai lavori eseguiti e dai costi di servizio. In questo modo veniva garantita una remunerazione superiore a quella autorizzata dalle norme europee per le concessioni pubbliche, che non potrebbe superare il 7 per cento (un tetto calcolato sul tasso medio dei rendimenti degli investimenti). Uno sganciamento che si sarebbe protratto nel tempo. Nell’esposto si legge che il margine di utile, grazie al salvadanaio segreto, potrebbe aver raggiunto il 25 per cento annuo rispetto ai costi degli investimenti effettivamente sostenuti. Gli utili sarebbero stati utilizzati per saldare i mutui accesi con le banche per acquistare le azioni. In poche parole i Benetton starebbero saldando i loro debiti con i pedaggi «gonfiati» da opere mai realizzate anziché con i loro utili che, grazie al giochino del «finto capitale investito», sarebbero potuti crescere oltre tre volte il limite consentito dalle norme europee”. (Continua a leggere dopo la foto)

Conclude La Verità sull’ennesimo caso Benetton: “Lo storno delle risorse provenienti dai pedaggi degli automobilisti (si tratta per questo di denaro pubblico) verso obiettivi diversi da quelli originari avrebbe avuto come drammatica conseguenza la riduzione degli investimenti per le manutenzioni, che si sono rivelate insufficienti. Dunque quello di Aspi sarebbe un tipico caso di leveraged buyout, di acquisto a debito, mascherato grazie all’avallo dello Stato (per questo sperpero di denaro pubblico si ipotizza anche il peculato). Le investigazioni stanno continuando e i riscontri a quanto denunciato iniziano a emergere. L’unico problema sarà evitare il rischio prescrizione”.

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