Due anni e mezzo di impegni, minacce, promesse. Con un’espressione, “revoca delle concessioni autostradali”, usata e abusata a più riprese. Il risultato? Soltanto tanto, tantissimo tempo perso. Questo il bilancio complessivo del braccio di ferro tra il governo Conte e Aspi, iniziato all’indomani della tragedia del Ponte Morandi quando il premier e il Movimento Cinque Stelle dichiararono guerra ai Benetton. Una guerra che, in realtà, non c’è mai stata. Anzi. Anche il famoso accordo del 14 luglio 2020, che avrebbe dovuto sancire l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nel capitale Aspi attraverso un aumento di capitale, è rimasta su carta.
Più e più volte Conte ha parlato della possibilità di revocare la concessione alla società controllata all’88% da Atlantia. Senza che però alle parole seguissero mai i fatti. Dopo aver sbandierato un’intesa che avrebbe estromesso per sempre i Benetton senza esborsi sanguinosi, il governo è stato costretto alla clamorosa retromarcia. La stessa Cdp ha scelto di allearsi con due colossi stranieri, Blackstone e Macquarie, per cercare di acquistare l’88% di Aspi in mano ad Atlantia. Se arriverà o meno un’offerta vincolante per l’acquisto della quota, però, non è ancora dato saperlo. Nel frattempo, però, è stato definito il Piano economico e finanziario che regolerà gli impegni presi per i prossimi 18 anni. Le sorprese sono state, anche in questo caso, tutt’altro che liete.
Secondo le informazioni fatte circolare sul documento, erano previsti investimenti per 14,5 miliardi di euro, manutenzione per 7 miliardi, un risarcimento a carico di Aspi per il crollo del Ponte Morandi di 3,4 miliardi e un aumento medio tariffario annuo dell’1,64% fino al 2038. Il testo, però, è poi scomparso nel nulla. Secondo Repubblica, il “ministero del Tesoro lo tiene sul tavolo senza averlo inoltrato al Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, per i successivi passaggi, in attesa di possibili svolte sul fronte giudiziario”. Uno stallo totale, insomma, il cui esito è reso ancora più incerto dalla crisi di governo scoppiata nel frattempo. Con conseguente stop anche agli investimenti programmati.
Anche la via dell’acquisto dell’88% di Aspi da parte della cordata Cdp-Blackstone-Macquire si è nel frattempo complicata. Si va verso una diminuzione delle stime sul valore dell’azienda, con il prezzo influenzato anche dal rischio di eventuali cause legali per danni indiretti, difficile da quantificare in anticipo con buona approssimazione. Si parla già di 7-8 miliardi, a fronte dei 9,5 stimati inizialmente. E la cifra potrebbe scendere ancora. Un prezzo troppo basso, però, non sarebbe accettato da Aspi. A quel punto, servirebbe una nuova soluzione.
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