Non se la passa affatto bene la giustizia in Italia. Malgrado siano anni che i governi e i ministri di turno annuncino riforme consistenti e epocali, si è sempre impantanati al solito punto. Il problema principale resta la lentezza, una lentezza atavica e dolorosa che colpisce i cittadini che aspettano anche decenni per avere delle risposte. Due esempi su tutti. Chi ha dovuto attendere fino a 14 anni per una violenza sessuale e chi invece ha aspettato addirittura 31 anni per un risarcimento dovuto a una trasfusione sbagliata. Due casi gravissimi, eppure la giustizia non è stata in grado di dare risposte certe e immediate, come invece avrebbe dovuto essere.
In un articolo pubblicato il 9 dicembre su ItaliaOggi, Carlo Valentini racconta della nostra giustizia lumaca partendo dalla solita domanda: possibile che si alternino governi e ministri e nulla cambi? E qui racconta i due esempi “madornali”, che sono solo una goccia in un mare immenso di casi simili. “Torino. Un padre degenere abusa per molti anni della figlia. Diventata adulta, scopre che l’uomo ha iniziato a molestare pure la nipote, allora sporge denuncia e racconta di soprusi, angherie. violenze. Le indagini confermano. Ci vogliono quattro anni per la prima sentenza di condanna, lui fa appello e ce ne vogliono altri otto per la conferma della condanna”.
“Per evitare il carcere, arriva il ricorso in Cassazione che rimanda il fascicolo al mittente. Altri due anni e nei giorni scorsi il pg ha chiesto 9 anni e sei mesi. Nuove udienze dopo le Feste. Una vicenda tanto ripugnante e che reclama giustizia non è arrivata a conclusione dopo 14 anni. Intanto l’imputato ha compiuto 80 anni, molte accuse si sono prescritte ed eviterà il carcere. Domanda al ministro Alfonso Bonafede: è giustizia questa?”.
Non basta. “Da Torino a Napoli. A una signora (che ora ha 68 anni) contagiata per colpa di una trasfusione sono occorsi 31 anni per arrivare al risarcimento. Di anni ne aveva 37 quando per problemi ginecologici fu ricoverata all’ospedale Cardarelli. Ne uscì con l’epatite virale e la commissione medica del ministero della Salute documentò che in effetti l’epatite proveniva dalla trasfusione a cui era stata sottoposta. Di qui la causa con la richiesta di risarcimento per omesso controllo sul sangue che le era stato trasfuso. Per ottenere la prima sentenza (favorevole) ha dovuto aspettare 11 anni”.
Poi il ministero ebbe il coraggio di ricorrere in appello e dopo altri 15 anni arrivò la conferma della sentenza. “Tutto risolto in 26 anni? No, perché il ministero della Sanità, nonostante i solleciti, non metteva mano al portafoglio. Ecco allora la richiesta al Tar, il tribunale amministrativo, di costringere lo Stato a pagare. Ciò che i giudici hanno deliberato ora, mettendo in mora il ministero. Che ha pagato dopo 31 anni, tanto ha impiegato la lumachina per arrivare a destinazione, nell’indifferenza generale”.
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