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“Aspettiamo ancora che sia fatta giustizia”. Storia del farmaco killer Talidomide e di una battaglia per la verità

Pubblicato il 10/12/2022 13:28 - Aggiornato il 10/12/2022 13:33

Un farmaco somministrato negli anni ’50 e ’60 a donne in gravidanza, per alleviare nausee e vomito. E che ha provocato migliaia e migliaia di aborti, oltre alla nascita di tanti bambini focomelici. Un dramma raccontato il 10 settembre scorso alla Casa della Muscia di Parma, dove è stata presentata la seconda edizione del libro “La tragedia della Talidomide: aspetti medici, scientifici e giuridici”. Gli organizzatori del convegno, Antonio Ciuffreda e Francesco Picucci, sono tornati a parlare di questa incredibile tragedia alle pagine del Giornale, spiegando gli effetti devastanti del farmaco: bastava anche solo una pasticca per interrompere la crescita del fetom, che nasceva senza gambe, senza braccia o con danni agli organi interni. Ancora oggi, prosegue una battaglia parallela: quella per il riconoscimento degli indennizzi. (Continua a leggere dopo la foto)

Secondo la legge n. 14 del 27 febbraio 2009, l’indennizzo si intende riconosciuto per coloro che sono nati tra il 1959 e il 1965. Successivamente un’altra normativa ha esteso l’arco temporale, amettendo risarcimenti anche per i nati al di fuori del periodo previsto “chepresentano malformazioni compatibili con la sindrome da Talidomide”. (Continua a leggere dopo la foto)

Resta il problema, però, di alcune fasce d’età escluse. Il farmaco, brevettato nel 1954 dalla ditta tedesca Chemie Grünenthal, era già somministrato prima del 1958 ed è rimasto in circolazione anche dopo la revoca dei prodotti a base Talidomide avvenuta in Italia nel luglio 1962, otto mesi di ritardo rispetto agli altri Paesi. “È incredibile – ha spiegatoFrancesco Picucci – come l’apparato del ministero della Salute voglia ignorare le vittime nate prima del 1958 e dopo il 1966”. (Continua a leggere dopo la foto)

“Si aggrappano a piccole quisquiglie – ha spiegato Picucci – che la legge non prevede, anche del tutto inesatte, per limitare il numero di coloro che avrebbero diritto all’indennizzo di Stato. Ma non ci arrenderemo, anzi, siamo più determinati che mai. Abbiamo portato all’attenzione del ministero della Salute il nostro dramma personale, chiedendo le visite mediche come dispone la legge, per dimostrare la correlazione della nostra condizione con l’assunzione del farmaco da parte delle nostre madri. Ma abbiamo sempre trovato il classico muro di gomma dello Stato”.

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