Tra le ingentissime spese per armare l’Ucraina (da ultimo, ben 50 miliardi di euro), quelle per l’acquisto dei controversi vaccini contro il Covid, e le ricadute della dissennata politica della Banca centrale europea con il suo continuo rialzo dei tassi, le casse dell’Unione europea languono: Bruxelles deve contrastare un buco di bilancio di ben 66 miliardi di euro. Per essere chiari, occorre mettere mano al portafoglio giacché, pur se in maniera indiretta, saremo ancora noi a dover dare il nostro contributo. Ad oggi, il bilancio dell’Unione europea dipende essenzialmente dai finanziamenti dei Paesi membri, ma stanno per arrivare le tasse europee, pur se Bruxelles non vuole che si sappia: anche se tecnicamente non sono imposte dirette, come il portavoce della commissione europea non hanno mancato di precisare, possiamo in assoluta serenità definirle tasse: “tasse” europee. Già a seguito della pandemia, la commissione europea aveva proposto di inserire tra le entrate del bilancio tre nuove fonti, a cui il 20 giugno scorso se n’è aggiunta una quarta. (Continua a leggere dopo la foto)
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Le quattro “tasse europee”
Nel nuovo pacchetto di proposte varato in quella data, dunque, rientrano: un’aliquota generalizzata del 30% sui proventi generati dalle aste del Sistema di scambio di quote di emissione Ets (Emission Trading System), di cui ci siamo già occupati e che obbliga migliaia di centrali elettriche e fabbriche europee a richiedere un permesso e a pagare per ogni tonnellata di CO2 emessa; la seconda proposta, invece, riguarda l’assegnazione al bilancio comunitario del 75% delle entrate del Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Carbon Border Adjustment Mechanism, Cbam), che sarà implementato imponendo un sovrapprezzo ai produttori extraeuropei che non rispettano le regole ecologiche in vigore nell’Ue, leggasi Cina; poi, la terza proposta si basa sulla quota di utili residui delle multinazionali riassegnata agli Stati nell’ambito dell’accordo Ocse-G20 – non ancora implementato – sui diritti di imposizione. Una sorta di Iva a livello comunitario; infine, l’ultima e più recente tra le proposte della commissione, interessa il cosiddetto dumping fiscale, ovvero il dislivello di sistemi e politiche fiscali differenti di Paese in Paese, che è alla base di perdita di gettito per alcuni Paesi. In verità, esiste già un regolamento europeo che stabilisce i criteri con cui ogni Paese deve presentare la contabilità nazionale, tra cui quanto producono le imprese e quali sono i loro profitti. Quindi il dato contabile esiste già, basta solo fissare la formula con cui calcolare il contributo. (Continua a leggere dopo la foto)
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Obiettivo Armonizzazione
Una fonte anonima da Bruxelles, parlando con The Post Internazionale, ne illustra la ratio: “È concepita come una sorta di compensazione verso quegli Stati da cui le imprese si spostano per approdare in Paesi membri con livelli di tassazione più favorevoli”. Si tratterebbe, secondo la fonte anonima, di una misura temporanea che presto “Sarà sostituita dalla risorsa Business in Europe: Framework for Income Taxation (Befit), un’unica raccolta di norme sulla tassazione societaria, mirante a un’armonizzazione della base imponibile nell’Ue. Al momento, ecco in che modo è finanziato il bilancio comunitario, che per il 2021-2027 prevede una dotazione di oltre 2.000 miliardi di euro: il 90% delle risorse proprie dell’Unione arriva da quattro fonti principali, ovvero dazi doganali, quote dell’Iva, proventi della cosiddetta Plastic Tax e versamenti dei 27 Stati membri, il cui contributo pro-quota si basa sul rispettivo Reddito nazionale lordo. (Continua a leggere dopo la foto)
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Le attuali forme di finanziamento
Se i dazi sono riscossi dalle varie dogane nazionali e ogni mese, tolto il 25% trattenuto dallo Stato membro, la somma viene accreditata presso il conto aperto dalla Commissione in quel Paese, e un analogo meccanismo funziona per la Plastic Tax i vari Paesi contribuiscono con 80 centesimi di euro per ogni chilogrammo di plastica non riciclata presente nei propri rifiuti. Differente l’approccio verso l’Iva. È lo Stato membro a versare all’Ue una quota fissa dell’imposta riscossa dai contribuenti. Ora, il nuovo pacchetto di proposte di finanziamento, appena varato, dovrà prima essere approvato dagli Stati membri.
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