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Inquinamento “autorizzato” dalla Ue, lo scandalo dell’eco-truffa che però è legale. La clamorosa inchiesta

Pubblicato il 30/05/2023 19:33

Fatta la legge, trovato l’inganno: si dice così in questi casi. La particolarità di una vera e propria maxitruffa svelata da Le monde (e ripresa in Italia solo da Dagospia) è che è legale. Le grandi aziende che producono acciaio, cemento, petrolio e alluminio, dunque alcune tra le più inquinanti, hanno per venti lunghi anni inquinato dietro autorizzazione, per così dire. Ma come è stato possibile? Ricostruisce la prima parte dell’inchiesta di Le Monde che le aziende inquinanti hanno ricevuto dalla Unione europea quote di emissione di Co2 gratuite, che avrebbe dovuto essere ridotto nel tempo, per incoraggiarle a ridurre le loro emissioni di gas serra. Suona paradossale se pensiamo alla massiccia campagna “green” con cui l’Unione europea intende portare avanti una transizione ecologica estrema, e con tanto di direttive folli come quella famigerata sull’efficientamento energetico delle abitazioni. Grazie al sistema di sostegno dell’Unione europea, secondo le stime del World Wildlife Fund, le addirittura 98,5 miliardi di euro sono transitati nelle casse delle multinazionali inquinanti; solo un quarto di questa somma (25 miliardi di euro) è stato destinato all’azione per il clima. Il sistema, dunque, come sempre accade, era nato con le migliori intenzioni, tuttavia in breve tempo si è trasformato in uno strumento finanziario che consente ai beneficiari di aumentare i loro profitti rivendendo tali quote. (Continua a leggere dopo la foto)
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truffa legalizzata quote Co2

Lo schema della truffa legalizzata

Sicché, dopo otto mesi di indagini dei giornalisti del prestigioso quotidiano francese, con il sostegno finanziario del fondo Investigative Journalism for Europe (IJ4EU), osservando particolarmente i casi della stessa Francia e della Spagna e le relative transazioni delle aziende, si sono accorti che all’interno del sistema dello scambio di quote di emissione (SEQE-EU-ETS) succedevano cose strane. Succedeva, difatti, che le stesse aziende rivendevano alcune delle loro quote, che erano gratuite, ricordiamolo, “per centinaia di milioni di euro, a volte miliardi”. E, tecnicamente parlando, è tutto legale. E dunque, dopo un percorso avviato già nel 1992 con il vertice di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo sostenibile, sino a che, nel 2005, L’Unione europea “ha creato da zero un mercato che non era mai esistito prima. È la prima volta nella storia dell’umanità”, afferma Thomas Pellerin-Carlin, direttore del programma Europa dell’Institut de l’économie pour le climat. La fase pilota del programma europeo di quote gratuite era iniziata già nel 2003. Dunque, dicevamo, ogni anno da vent’anni, l’Unione Europea decide di assegnare quote gratuite di Co2 alle aziende (in base ai gas serra che si stima emetteranno nell’anno seguente). Una quota equivale a una tonnellata di Co2. Lo schema della truffa legalizzata, questo trucchetto, funziona così: dopo un anno, gli impianti industriali devono restituire un numero di quote equivalente alle loro emissioni effettive di Co2. (Continua a leggere dopo la foto)
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Un regalino ai fondi d’investimento

Se hanno emesso più Co2 del previsto, possono acquistare quote aggiuntive dalle aziende che non hanno utilizzato tutte le loro, secondo il principio “chi inquina paga” ideato dai creatori di questo mercato; di converso, se hanno emesso meno Co2 del previsto, possono rivendere le quote in eccesso che detengono. Esattamente come quei tossicodipendenti che rivendono il Metadone fuori dai Sert, se vogliamo tracciare un parallelismo. Ora che il quadro, per quanto fosco, è più chiaro, occorre citare alla lettera: “Il governo avrebbe potuto benissimo recuperare il denaro generato dalla vendita delle quote per compensare le attività inquinanti in modo ecologico, abbassare l’IVA o ridurre l’imposta sul reddito. Ma questa non è stata la scelta fatta, lasciando invece le aziende libere di operare”, dichiara Julien Hanoteau, docente di economia e sviluppo sostenibile presso la Kedge Business School dell’Università di Aix-Marseille. Il tutto si rivela, dunque, un enorme regalo a quei fondi di investimento speculativi specializzati nei mercati del carbonio, che scommettono su queste quote, che vengono scambiate ogni mattina alle 11: il prezzo del carbonio era inizialmente di 7 euro per tonnellata, è salito a 24 euro nell’agosto 2008 e ora si aggira intorno ai 100 euro. (Continua a leggere dopo la foto)
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L’assoluta mancanza di trasparenza

Ad aggiungere altre ombre a un contesto davvero poco limpido, la vendita di quote è soggetta al sigillo del segreto commerciale e, per di più, le transazioni finanziarie effettuate da ciascuno dei 18.000 siti industriali che hanno beneficiato di quote gratuite vengono pubblicate retrospettivamente dall’Ue con un ritardo di tre anni. Di conseguenza, per riprendere l’esempio citato da Le Monde, un gruppo superinquinante come ArcelorMittal ha sempre ricevuto più quote gratuite di quelle emesse in CO2: in totale, secondo i registri dell’EUTL, tra il 2005 e il 2019 il gigante dell’acciaio ha venduto 3,7 miliardi di euro di quote e ne ha acquistate 1,8 miliardi. ArcelorMittal France non ha voluto confermare queste cifre.
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