Nelle evidenti mancanze di un piano per la Libia, quello varato dalle Nazioni Unite, che non funziona, prova a inserirsi il governo italiano grazie alla mediazione dei propri servizi segreti, proponendo una possibile alternativa per scongiurare una ripresa nel futuro prossimo della guerra civile all’interno del Paese. In attesa di capire come si muoverà la nuova amministrazione americana guidata da Joe Biden, la debolezza delle trattative portate avanti dall’Onu è emersa il 23 gennaio, data nella quale si sarebbero dovuti registrare i primi segnali distensivi tra la Tripoli del presidente Serraj e la Bengasi del generale Haftar. Le condizioni dell’accordo, però, non sono state rispettate.
Il piano delle Nazioni Unite prevedeva che i combattenti libici abbandonassero il fronte per tornare alle loro basi, l’abbandono da parte del Paese dei mercenari e dei foreign fighters e lo stop alle attività di addestramento militare condotte da istruttori stranieri. Tre punti di cui nessuno, però, è stato rispettato. La linea divisoria tra le due parti resta al momento fissata a Sirte, nei pressi della quale i mercenari russi hanno scavato un vallo verso sud, protetto da fortificazioni. Il segnale che i negoziati di pace potrebbero di colpo naufragare.
Come rivelato dal Foglio, che ha ricostruito le mosse degli 007 italiani, il nostro Paese ha però un piano diverso per la Libia. Basato, innanzitutto, sull’identificazione di due diverse figure come possibili attori della pace: Ahmed Maitig per l’ovest e il generale Haftar per l’est. “La mattina del 19 gennaio il direttore dell’Aise Gianni Caravelli ha incontrato a Bengasi il generale Haftar, come aveva fatto già il 17 dicembre”. Un confronto documentato anche da immagini che hanno iniziato a circolare poco dopo su Facebook e che evidenzia come il nostro Paese si stia muovendo portando avanti una propria strategia.
Il rischio, d’altronde, è che le cose in Libia precipitino. Potrebbero aprirsi scontri all’interno di Tripoli, potrebbe arrivare la temuta resa dei conti a Bengasi. Con il presidente Fayez al Serraj che avrebbe dovuto lasciare entro fine ottobre e che oggi invece si ingrazia le milizie distribuendo incarichi di prestigio, in uno scenario segnato dalla crescente insicurezza.
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