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Sergio Mattarella, gli scivoloni del presidente su tasse e modernità

Pubblicato il 03/01/2023 17:58

Di Gianluigi Paragone – Dopo una scorpacciata di consensi, di bravo, bravissimo, il Capo dello Stato consentirà qualche critica profonda. La prima al suo bis: questo è il primo discorso dopo la rielezione e nello stesso non traspare alcun invito al parlamento di cercare sostituti; cosa che fece il predecessore Giorgio Napolitano.

Già, perché mentre stiamo qui a ricordare i 75 anni della Costituzione, abbiamo avuto due bis del mandato presidenziale per gli ultimi due presidenti: tutto normale? Io non ne sarei così convinto. Non starò però qui a discutere dell’opportunità della rielezione, mi interessa piuttosto inserirla in un contesto di quella «modernità» così cara al nostro Mattarella. Se la politica non è capace di eleggerei successori è perché la politica ha perso la sua caratura. «Dobbiamo stare dentro il nostro tempo, non in quello passato. Dobbiamo imparare a leggere il presente con gli occhi di domani. Pensare di rigettare il cambiamento, di rinunciare alla modernità non è soltanto un errore: è anche un’illusione». Ma qual è l’idea di modernità? Su quali binari corre? Ovviamente i binari digitali. Mattarella invita a guardare alla «modernità», in tutti i campi, progettando «il domani con coraggio».

Bisogna saper gestire, ha proseguito il Presidente, e sfruttare la «trasformazione digitale» che «semplifica le nostre vite» e non le complica. «Le nuove generazioni vivono già pienamente questa nuova dimensione». Eccolo il futuro moderno, digitale. Quello su cui arrivano i soldi del Pnrr. Ovviamente Mattarella non ha chiaro che i player del futuro sono degli usurpatori, sono nuovi padroni di un rinnovato feudalesimo che si chiama MetaVerso, Amazon, Google e compagnia cantante. Tutti over the top, giganti di un mondo su cui hanno messo le mani approfittando di politiche smart, di dumping fiscale (talvolta vere e proprie elusioni fiscali); accaparrando la rete, cioè un bene di tutti, come se fosse «roba» loro. Il codice genetico del futuro digitale è esattamente come lo hanno programmato loro, con visione predatoria, tanto che nessuno si interroga più sul perché questi ott possano accaparrarsi i nostri dati come fossero loro, senza permesso; come possano condizionare e guidare le nostre vite. E questo accade ogni secondo della vita digitale. Non valgono più i diritti, vale solo la loro idea di connessione finalizzata a «semplificare le nostre vite». «La Repubblica siamo tutti noi, insieme», dice il presidente. «La patria siamo noi».

A parole, perché la sovrastruttura cui stiamo delegando il futuro e la modernità ha ben altri paradigmi. Facebook, Amazon, Apple, Google, Uber possono fare stupende operazioni di lobbismo normativo per avere leggi sempre più convenienti o che coprano le predazioni in corso (leggetevi Zuboff, Lanier, Morozov, Foer tanto per citare alcuni). Oppure possono chiudere splendide transazioni fiscali (al pari delle multinazionali) con i nostri sportelli perché nelle loro casse hanno la liquidità sufficiente per concordare con un Fisco a corto di soldi. Infine possono compiere grandi operazioni di censura perché ormai hanno tutto il sistema in mano attraverso la pubblicità o asset societari.

La modernità di cui parla Mattarella è fuori fuoco, assolutamente fuori fuoco. E non è un discorso generazionale, quanto di difesa di quella Costituzione di cui ricorda i 75 anni. Se il presidente vuole davvero reggere l’architettura costituzionale (al netto delle sbavature evidenti sullo strapotere di alcuni poteri su altri), non cada nel tranello della modernità necessaria perché ci fa vivere meglio o perché i giovani l’hanno già in mano. Lì c’è il MetaStato, che non ha Costituzioni. Saranno proprio i giovani a pagare il prezzo di questa modernità predatoria. La pagheranno sul lavoro, sull’impossibilità crescente di fare impresa ed essere realmente competitivi; la pagheranno sulla conservazione dei diritti, dalla scuola alla sanità.

E se è vero che la Repubblica è «nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune», allora il presidente si faccia raccontare quanto paga un ristoratore di tasse e di servizi e quanto la multinazionale del delivery; quanto il commerciante e quanto Amazon. Sotto Natale, in coda alle mense dei nuovi poveri c’era un pezzo di quel ceto medio smontato da tanti annidi sottovalutazioni politiche proprio su globalizzazione e modernità.