Dieci e più anni di tagli continui. Tagliare, tagliare, tagliare. E spesso per far rientrare gli zero virgola tanto cari a Bruxelles. Ed ora, in piena emergenza, ci rendiamo davvero conto del danno. L’allarme partito dalle Regioni più colpite dall’epidemia di coronavirus ha aperto un dibattito nazionale sullo stato di salute della sanità italiana (ci si scusa per il gioco di parole). Gli elementi di maggior criticità sono la scarsa disponibilità di personale e di posti letto per far fronte ai casi che richiedono cure ospedaliere. Fiorina Capozzi ci aiuta – con un suo articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano – a capire e analizzare il decennio di taglio di risorse alla sanità da parte della politica.
Sono stati così penalizzati non solo gli ospedali pubblici, ma anche i privati convenzionati. In dieci anni sono sono stati sottratti al Sistema Sanitario Nazionale 37 miliardi. Scrive Capozzi: “Secondo uno studio del centro di ricerche indipendente Gimbe, fra il 2010 e il 2019 c’è stato un progressivo definanziamento della sanità pubblica. O meglio: c’è stato un aumento di risorse per 8,8 miliardi, ma l’incremento è stato inferiore al tasso d’inflazione producendo di fatto una decurtazione del budget. Inoltre, la politica ha favorito la nascita di assicurazioni e fondi sanitari per compensare il ridimensionamento della spesa in sanità andando a vantaggio solo di alcune categorie di persone e mettendo a rischio l’universalità del servizio”. E questo è forse l’aspetto più grave.
Tutto è iniziato con il governo di Mario Monti. “La stagione della spending review ha portato in dote una sforbiciata alla spesa sanitaria da 6,8 miliardi fino al 2015. Da allora le cose sono andate sempre peggio. In nome del risanamento dei bilanci locali e delle aziende sanitarie sono scattati i piani di rientro per le Regioni. Così i governatori hanno tagliato ancora. Nel Lazio, ad esempio, Nicola Zingaretti ha cassato 3.600 posti letto e chiuso diversi ospedali. In compenso il bilancio regionale della sanità è tornato in positivo, ma il prezzo da pagare per la collettività è stato alto in termini di costi e servizi”.
Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, “le risorse per il personale sono scese di due miliardi fra il 2010 e il 2018. Ma per Gimbe le cose starebbero anche peggio: nello stesso periodo dei 37 miliardi di risparmi, almeno il 50% dei tagli è stato ‘scaricato’ sul personale dipendente e convenzionato riducendo di fatto i servizi per i cittadini”. Il numero di posti letto per 1.000 abitanti negli ospedali è sceso di gran lunga sotto la media europea. Secondo il centro studi dell’ufficio parlamentare, l’indicatore era al 3,9 nel 2007 e al 3,2 nel 2017 contro una media europea diminuita da 5,7 a 5.
Anche il ticket è progressivamente aumentato. “In dieci anni, il gettito complessivo dei cosiddetti ticket, escluse le strutture accreditate dove il dato non viene rilevato, è passato da 1,8 miliardi nel 2008 a 3 miliardi nel 2018”. Il costo della sanità sulle famiglie è dunque aumentato ed è raddoppiata la quota dei più poveri che rinunciano alle cure. E i livelli minimi di assistenza? Una chimera. Così come la diminuzione delle liste d’attesa. Il futuro? Le prospettive non sono affatto rosee. “Per il futuro, le previsioni di spesa sanitaria a legislazione vigente contenute nella Nadef 2019 indicano una ulteriore lieve riduzione in rapporto al Pil, dal 6,6% del 2019 al 6,5% nel 2022”, precisa l’ufficio studi parlamentare. Ma non doveva servire il coronavirus per farci rendere conto della gravità della situazione dei tagli.
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