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Referendum sulla giustizia, ecco per cosa si vota: le ragioni del sì e quelle del no a confronto

Pubblicato il 09/06/2022 09:48

(A cura dell’avv. Eugenio Piccolo) Il 12/06 p.v. i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per votare su cinque referendum in tema di Giustizia oltre che per assolvere l’impegno di voto in relazione a circa 950 Comuni.
L’esigenza nasce dalla consapevolezza della ormai risalente crisi della Giustizia manifestatasi per la prima volta con impattante risonanza mediatica nel 1983 allorquando Enzo Tortora, noto giornalista e conduttore televisivo, fu accusato di associazione camorristica e traffico di droga, e, dopo anni di gogna mediatica e carcere, venne definitivamente assolto dalle accuse; proseguita, poi, con numerosi casi di ingiusta detenzione; e, infine, esplosa con lo scandalo Palamara che ha reso definitivamente pubblici i comportamenti della Magistratura indirizzati ad interessi personali e professionali – gestiti attraverso il sistema delle correnti – raggiunti e rinsaldatisi grazie alle connivenze anche con il mondo politico.
Nel tentativo di porre un freno ad un degrado ormai dirompente, con la Legge n. 269 del 24.10.2006 venne introdotta la responsabilità disciplinare dei Magistrati: la Riforma si è rivelata, peraltro, del tutto inadeguata.
Non è un caso che Lega e Radicali abbiano pensato, oltre ai quesiti
referendari ammessi, anche a quello sulla responsabilità civile diretta dei Magistrati che, peraltro, unitamente ai quesiti sulla liberalizzazione della cannabis e sull’eutanasia, non sono stati licenziati dalla Corte Costituzionale, a conferma della difficoltà, ancora oggi, di eradicare un sistema graniticamente consolidato.
I Referendum in questione tentano dunque di ripristinare condizioni idonee per il corretto svolgimento della funzione giudiziaria.
Sono di tipo abrogativo perché vogliono eliminare leggi o norme attualmente in vigore – di cui si tratterà in prosieguo – e richiedono un quorum del 50% più uno dei votanti aventi diritto.
Dal 1946 ad oggi si sono tenuti in Italia 73 Referendum, 67 dei quali abrogativi. (Continua dopo la foto)

PRIMO QUESITO (scheda rossa)
Abrogazione del testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive di Governo conseguente a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi Trattasi della abrogazione della Legge Severino approvata il 31/12/2012 e denominata con il nome del Ministro della Giustizia dell’allora Governo Monti.
E’ una Legge in materia di prevenzione e di repressione della corruzione voluta perché in un rapporto del 2011 l’Italia figurava tra i paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) più corrotti.
Votata con 490 sì e solo 18 no, la Legge istituisce la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle Amministrazioni Pubbliche; disciplina gli appalti pubblici e l’attribuzione delle funzioni dirigenziali; precisa le incompatibilità che derivano dal cumulo di impieghi o ruoli fissando il principio della rotazione dei Dirigenti; elenca le attività delle imprese più esposte a rischio corruzione; introduce il reato di traffico di influenze illecite.
La Legge prevede che chi sia condannato in via definitiva a più di due anni per associazione mafiosa, terrorismo, corruzione e altri gravi reati; per reati contro la P.A.; e per qualsiasi altro reato, anche non colposo, punito con pena non inferiore a quattro anni, non possa partecipare a competizioni elettorali nazionali ed europee; per i candidati alle elezioni amministrative regionali, provinciali e comunali è addirittura esclusa la condanna in via definitiva, bastando semplicemente una condanna per reati contro la P.A. e altri gravi reati, ancora non passata in giudicato, perché si verifichi una decadenza automatica dagli incarichi ricoperti per un massimo di un anno e mezzo.
Perché allora chiederne l’abrogazione?
La Legge, nella sua applicazione, ha evidenziato profili di criticità soprattutto con riferimento agli amministratori locali.
E’ spesso, infatti, accaduto che molti di costoro, sottoposti a procedimenti penali siano stati costretti ad abbandonare l’incarico, benché i processi fossero ancora pendenti, e poi siano stati assolti (l’ultimo caso, in ordine di tempo, è quello del Sindaco di un paese di 500 abitanti, in provincia di Asti, assolto dal reato di abuso d’ufficio per una vicenda iniziata nel 2015).
Questa differenza di trattamento tra parlamentari ed amministratori locali ha interessato anche personaggi noti come Luigi De Magistris o Vincenzo De Luca che hanno richiesto, con esito sfavorevole, interventi alla Corte Costituzionale.
Nel caso di abrogazione della Legge, il Giudice avrà la facoltà di accompagnare alla pena principale anche le pene accessorie della
interdizione dai pubblici uffici per un certo tempo.
I fautori del SI censurano la differenza di trattamento tra i politici nazionali e gli amministratori locali; la violazione del principio costituzionale della presunzione di innocenza (o di non colpevolezza) per cui non si è colpevoli sino a quando la sentenza di condanna non diventi definitiva.
I fautori del NO sostengono, viceversa, che le funzioni pubbliche obbligano ad un rigore etico e comportamentale assoluto, essendo gli amministratori i rappresentanti dei cittadini ed il loro esempio; e che, in caso di vittoria del SI, verrebbe riservata al Giudice l’applicazione di misure accessorie, come l’interdizione dai pubblici uffici, così consentendogli l’adozione di provvedimenti “ad personam”. (Continua dopo la foto)

SECONDO QUESITO (scheda grigia)
Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli Giudiziari, Abrogazione di norme in materia di composizione del
Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli Giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte.
Il quesito riguarda la valutazione professionale dei Magistrati.
Attualmente la valutazione della professionalità e della competenza dei Magistrati viene effettuata dal Consiglio Superiore della Magistratura anche sulla base di valutazioni presentate dai Consigli Giudiziari che sono organismi territoriali presenti in ogni Distretto di Corte d’Appello composti da Magistrati, dal Presidente della Corte d’Appello, dal suo Procuratore Generale – i cosiddetti “togati” – a cui si aggiungono i membri laici rappresentati da Avvocati e Professori Universitari.
Pur tuttavia, i membri laici sono esclusi dalla valutazione che rimane, quindi, esclusivamente nella disponibilità dei togati.
Di fatto e in buona sostanza un Giudice giudica un altro Giudice con una sovrapposizione che non è certo sinonimo di trasparenza.
Il Referendum vuole dunque estendere anche ai membri laici il diritto di valutazione.
Secondo i fautori del SI l’estensione della valutazione ai membri laici potrebbe costituire un freno al correntismo.
Si consideri che, secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero della Giustizia, negli ultimi 5 anni, il CSM ha espresso pareri positivi mediamente nel 99,2% dei casi.

I fautori del NO sostengono che il processo valutativo degli avvocati potrebbe essere inficiato dal risentimento personale nel caso in cui quell’avvocato si sia scontrato, in un contesto professionale, con quel Giudice che deve valutare.
Anche su questo aspetto, come in quelli della separazione delle funzioni e della Riforma del CSM, è intervenuta la Riforma Cartabia che affida la valutazione del Magistrato ad un fascicolo contenente l’attività da lui svolta.
(Continua dopo la foto)

TERZO QUESITO (scheda verde)
Abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del CSM.
Per comprendere il quesito che riguarda la abrogazione della raccolta delle firme, occorre ricordare che il CSM è l’organo di autogoverno dei Magistrati e ne regola la carriera.
E’ composto da 24 componenti, due terzi dei quali eletti dai Magistrati tra i Magistrati, ed un terzo eletto dal Parlamento.
Il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica che ne è membro di diritto unitamente al Presidente della Cassazione e al Procuratore Generale presso la stessa Corte.
Attualmente il Magistrato che voglia candidarsi per il CSM deve raccogliere da n. 25 a n. 50 firme.
I fautori del SI ritengono che, con l’attuale sistema, il Giudice che voglia candidarsi deve ricercare una rete di rapporti e relazioni personali, affidandosi alle correnti esistenti così consolidandone il peso all’interno del CSM.
Palamara nel suo libro, descrivendo il sistema, ha raccontato in modo molto chiaro di come le correnti per poter consolidare ed aumentare il proprio potere avvicinino i giovani Magistrati sin dal loro esordio nei Tribunali.
E’ perciò inevitabile che le correnti influenzino le decisioni favorendo incarichi a propri componenti al di là ed oltre le effettive capacità e competenze.
Il Referendum, eliminando la necessità delle firme, vorrebbe con il SI evitare ogni presupposto di sostegno alle correnti e garantire quindi a tutti i Magistrati il diritto di candidarsi così come già stabilito da una
Legge del 1958.
I fautori del NO ritengono invece che la conoscenza dei candidati da parte degli elettori sia fondamentale per esprimere un voto corretto
. (Continua dopo la foto)

QUARTO QUESITO (scheda Arancione)
Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274 comma 1 lettera C cpp in materia di misure cautelari e segnatamente di esigenze cautelari nel processo penale
L’articolo 274 cpp, che fissa le modalità di applicazione delle misure cautelari, stabilisce che esse sono disposte quando vi siano:
-esigenze specifiche ed inderogabili attinenti alle indagini;
-pericolo di fuga;
-rischio di inquinamento delle prove;
-rischio di commissione di nuovi reati;
-rischio di reiterazione dello stesso reato “quando sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta delitti della stessa specie di quello per cui si procede”.
In tali casi il Giudice, su richiesta del PM, può disporre misure coercitive (arresti domiciliari; la custodia in carcere o in un luogo di cura; obbligo di dimora e di firma; allontanamento casa familiare; divieto di avvicinamento alla persona offesa; obbligo di firma; divieto di espatrio) e misure interdittive.
Il quesito referendario riguarda solo quest’ultimo aspetto ovvero la eliminazione della custodia cautelare per il rischio di reiterazione del medesimo reato.
I fautori del SI rilevano che, sulla base delle attuali disposizioni, si sono registrati moltissimi casi di privazione della libertà a soggetti che spesso non solo non abbiano ricevuto una condanna ma nemmeno abbiano ancora avuto un processo!
Secondo un recente studio, dal 1991 al 31/12/2021 ci sono stati 30.231 casi di errori giudiziari e ingiusta detenzione, con una media di 975 casi all’anno; l’Italia è il quinto paese europeo per detenuti in custodia cautelare (31%); dal 1991 ad oggi lo Stato ha risarcito danni per oltre 900.000.000,00 di € circa, con una media di quasi € 29.000.000,00 l’anno; e solo nel 2021 oltre € 24.000.000,00 a fronte di 565 casi di ingiusta detenzione; e ciò a prescindere dagli effetti psicologici che la carcerazione preventiva, tanto più se infondata, determina sulle persone da un punto di vista personale, sociale e professionale.
Contestano, dunque, l’uso improprio ed anzi smodato dei provvedimenti di custodia cautelare; mentre i sostenitori del NO ritengono che l’applicazione così rigorosa delle misure cautelari costituisca un freno ad una deriva delittuosa: diventerebbe pressoché impossibile, infatti, disporre qualsiasi misura cautelare in ordine a reati comuni come, ad esempio, lo spaccio stupefacenti; lo stalking; il furto che non implicano l’uso di armi e violenza; ma soprattutto l’abrogazione della norma metterebbe a rischio la sicurezza dei cittadini.
(Continua dopo la foto)

QUINTO QUESITO (scheda Gialla)
Separazione delle funzioni dei Magistrati; abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei Magistrati.
Come è noto, appartengono alla Magistratura i Magistrati giudicanti che svolgono la funzione di Giudice, e i Magistrati requirenti che sostengono l’accusa.
Allo stato attuale è consentito a tutti i Magistrati, dopo avere svolto le funzioni giudicanti o requirenti, di cambiare ruolo.
I fautori del SI ritengono che questa situazione crei una evidente complicità tra le due figure alimentandone lo spirito corporativo a discapito di quella autonomia che dovrebbe caratterizzare l’una e l’altra funzione.
Questa potenziale sovrapposizione dei ruoli, soprattutto nei piccoli Tribunali, favorisce rapporti di cooperazione tra i Giudici con il rischio di limitare il principio di terzietà del giudicante.
La Riforma oggetto del quesito referendario vuole pertanto introdurre il principio per cui il Magistrato all’inizio della propria carriera deve scegliere l’una o l’altra funzione senza possibilità di sovrapporre nel corso degli anni il doppio incarico (cosiddette “porte girevoli”): problema, questo, che ha indotto, proprio in questi giorni, il Consiglio d’Europa a sollecitare la regolamentazione del passaggio dei Magistrati in politica e ritorno.
I fautori del NO sostengono, invece, che la differenziazione delle carriere sia in contrasto con lo spirito e l’essenza stessa della giurisdizione comune a tutti i Giudici.
Va peraltro segnalato che la Riforma Cartabia approvata alla Camera ed ora approdata in Commissione Giustizia Senato ove verrà discussa il 15/06 p.v., prevede che i Magistrati possano chiedere il passaggio da Giudice a P.M. o viceversa, solo una volta nella carriera.