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Follia Europa: ora impone all’Italia di svendere i porti ai privati. Ecco la subdola strategia

Pubblicato il 27/01/2020 11:13

La cara Europa ha deciso: i porti italiani devono essere tassati. Si apre così alle privatizzazioni, che vuol dire svendere un altro bene comune ai soliti privati che si arricchiranno a discapito dei cittadini italiani. E tutto questo perché? Perché lo vuole l’Europa. La vicenda: l’Unione Europea da tempo chiede all’Italia di adeguarsi agli altri Stati Ue riscuotendo le tasse – in particolare l’imposta sul reddito delle società, l’Ires – dalle quindici Autorità di Sistema portuale (Asp), da sempre esentate perché enti pubblici e diretta emanazione del Mit. Per Bruxelles l’esenzione è una chiara infrazione dei principi del libero mercato: la Dg Competition che fa capo alla danese Margrethe Vestager ritiene che distorca la concorrenza, procuri indebiti vantaggi alle Asp, incida sugli scambi intra-Ue e sia una misura selettiva.

Di tutta questa macabra vicenda, ne dà conto Claudio Paudice con un dettagliatissimo articolo pubblicato su HuffingtonPost. Se le Autorità portuali non pagano dazio, dunque, per l’Italia sarà procedura di infrazione. Il solito vecchio ricatto. “Per le norme italiane, confermate anche da pronunce della Cassazione, le Asp sono articolazioni della pubblica amministrazione ai sensi dell’articolo 74 del Tuir, e pertanto sono tenute a pagare l’Irap, contributo regionale sulle attività produttive (aliquota del 3,9%) ma non l’Ires (aliquota ordinaria del 24%). Non svolgono quindi attività commerciali ma sono enti pubblici non economici che regolamentano e controllano le attività svolte dai soggetti operanti nei porti. Loro sì, sono invece sottoposti al pagamento delle tasse”.

A Palazzo Berlaymont la vedono in maniera completamente opposta: “I porti costituiscono attività economica perché affidano autorizzazioni e concessioni dietro il pagamento di un canone. Questo canone per l’Ue è assimilabile a un fitto o rapporto di locazione (e quindi tassabile), per l’Italia invece a una imposta (e quindi per ovvie ragioni non tassabile). Ma a Bruxelles poco importa, perché ‘la classificazione dei canoni portuali come imposte non è rilevante per determinare se le Asp svolgano una attività economica. Ciò che conta è che sia pagato denaro a fronte di una contropartita’. E il fatto di non svolgere ‘attività a scopo di lucro non è sufficiente a ritenere che le Asp si trovino in una situazione diversa rispetto ad altri operatori soggetti all’Ires’. Alla luce della struttura delle Autorità portuali, l’esenzione fiscale ‘risulterebbe arbitraria e inaccettabile’ e per questo, si legge nel paragrafo conclusivo della lettera, costituisce ‘un aiuto di Stato'”.

Perché Bruxelles fa questo, dunque? Perché così per i privati (soprattutto stranieri) si aprirebbe un mercato nuovo, avviando un processo di privatizzazione dei porti italiani. I porti del Mediterraneo hanno sempre avuto una vocazione pubblica, ne sa qualcosa la Grecia costretta a vendere i suoi gioielli per far fronte alle richieste della Troika durante la crisi del debito: ha già privatizzato il Pireo, ora proprietà del colosso statale cinese Cosco, e nel 2020 cederà i diritti di concessione di 10 porti regionali dal momento che “esiste un interesse significativo da parte degli investitori”, ha scritto la Commissione Europea nel terzo rapporto di sorveglianza.

Questo vuole l’Europa, quindi. Che i Paesi più deboli, come Italia e Grecia, svendano i loro beni comuni ai privati. Pechino, intanto, ha già manifestato il suo interesse per Genova e Trieste, vie d’accesso alternative al mercato europeo. Il rischio, evidenziato da D’Agostino nella sua audizione, è questo: “Se domani il Governo italiano vorrà investire nel porto di Trieste, dovrà passare per Bruxelles che potrà opporsi. Se invece a voler investire sarà il colosso pubblico cinese, potrà farlo perché considerato alla pari di un soggetto privato. Attenzione, perché stiamo parlando delle nostre cerniere con il mondo”.

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