Una delle tante conseguenze del voto in Emilia, e della sparizione del Movimento 5 Stelle, è il peso che ora rivendica il Pd anche per la nomina di circa 400 amministratori di società partecipate dal Tesoro. Sono tante poltrone, è tanto potere. Anche perché i nomi sono di quelli che scottano. In ballo, infatti, ci sono Eni, Enel, Leonardo, Poste, Tema, Mps, Enav… Una bella fetta di Piazza Affari con oltre 165 miliardi di valore di ricavi. Ma il voto in Emilia ha voluto dire anche un’altra cosa: maggiore stabilità nel governo, ed ecco dunque che si procederà con un sereno negoziato, avviano una spartizione equa del potere e delle nomine. Pd, M5s, Iv e Leu decideranno così chi saranno i loro prescelti per le cariche.
Andrea Greco su La Repubblica parla di una quasi certa “continuità per i capi operativi delle ex Partecipate Statali: anche perché buona parte dei nomi in carica fu espressa dal governo Renzi nel 2014, e confermata dal governo Gentiloni nel 2017. Il M5s, decimato nell’urna, tiene moltissimo alle nomine, per mostrare agli elettori che contano ancora. Anche i renziani puntano forte sulle nomine, perché considerano molti manager in sella come ‘uomini loro’, e alla ricerca di una centralità politica finora inferiore agli annunci. Tra le retrovie dei partiti s’iniziano a raccogliere strategie e figurine, che verso metà febbraio finiranno sui primi tavoli negoziali”.
Al momento molti osservatori concordano sul fatto che il tassello da cui molto discenderà riguarda la massima carica dell’Eni. “Dal 2014 è in capo a Claudio Descalzi, uomo di scuola Agip in azienda dal 1981. Tuttavia le nuvole giudiziarie sul capo del dirigente milanese sono dense. C’è il processo a Milano per corruzione internazionale sul giacimento Opl 245 in Nigeria, che potrebbe arrivare a sentenza nel 2020. C’è, anche, l’inchiesta per l’omessa comunicazione del conflitto d’interesse sui 310 milioni di dollari di lavori affidati da Eni in Congo a società che fino al 2014 erano della moglie di Descalzi. Elementi che turbano il Pd e (più) M5s, e potrebbero indurre l’azionista Tesoro a cercare alternative. Non è comunque facile sostituire il capo della più strategica azienda italiana”.
Si fanno i nomi di Stefano Cao (ad di Saipem che mancò per un pelo la guida Eni nei 2008) e Marco Alverà, pupillo di Paolo Scaroni ora ad Snam. Pare più probabile il cambio della presidente Emma Marcegaglia dopo sei anni. Per le altre Partecipate, “all’Enel – scrive Greco – l’ad Francesco Starace gode di appoggi trasversali nella maggioranza, e s’è detto intenzionato a restare”. Anche alle Poste Matteo Del Fante dovrebbe essere riconfermato, anche se “in ambienti romani qualcuno evoca Fabrizio Palermo, ad della Cassa depositi. In Leonardo l’ad Alessandro Profumo, dopo un triennio partito in salita, ha migliorato il rapporto con gli investitori, oltre che con il presidente Gianni De Gennaro. Elementi che, uniti alla nomina di Paolo Gentiloni alla Commissione Ue, assegnano al duo la pole position per una conferma”.
Tutto da rifare, infine, in Mps. Pd e Movimento 5 Stelle sembrano già in cerca di nomi nuovi per il cda. Conclude Greco: “Entro marzo, perché l’assemblea è il 6 aprile, data ravvicinata. Chi potrebbe tornare in auge, al posto dell’ad Marco Morelli, poco intenzionato al restare, è Alessandro Decio, ex Unicredit poi capo di Sace”. Ed ecco qua che la scatoletta di tonno non è stata aperta per nulla. Il Movimento 5 Stelle ha capito bene come funziona il gioco e – al pari di Renzi e del Pd – gioca forte al tavolo delle nomine.
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