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Ecco perché la medicina si è asservita alla tecnologia

Pubblicato il 31/12/2021 01:24

Di VINCENZO VITALE

La malattia è naturale. La medicina no: è artificiale, nel senso che essa è stata sempre pensata e organizzata dall’uomo per i suoi simili
come una tecnica per fronteggiare le malattie. Tuttavia, mai la medicina è stata pensata e praticata come una semplice tecnica, venendo invece rappresentata come una conoscenza del
malato – cioè dell’uomo in stato di bisogno – coniugata alla conoscenza dei rimedi per il male che lo affligge. Per questo, da Ippocrate in poi, il medico poneva la massima attenzione sia alla investigazione della patologia, sia alla persona del malato e più a questa che a quella per il semplice motivo che il punto di partenza e il punto di arrivo della sua euristica era sempre il malato in carne e ossa, presente davanti a lui come persona bisognosa di aiuto, dotata di un volto e di un nome.

In questa prospettiva, costante nei secoli fino a circa due decenni orsono, la medicina ha imparato ad avvalersi progressivamente dei ritrovati tecnologici che la ricerca ha saputo mettere a sua
disposizione – sia dal punto di vista diagnostico che da quello terapeutico – ma sempre collocando la persona umana al centro della propria riflessione e della propria azione, il che ha sempre significato privilegiare il rapporto fra medico e paziente nell’ottica di quella “alleanza terapeutica” che viene tradizionalmente vista come il punto archimedeo della relazione fra i due. Ecco perché la tecnologia ha sempre assunto un ruolo servente rispetto al sapere medico: questo si è servito di quella nell’interesse specifico e tendenzialmente esclusivo del paziente, allo scopo di estendere il proprio raggio di azione, aumentando le probabilità della guarigione.

Come nota perciò, fra gli altri, Karl Jaspers, il medico in senso proprio non è tanto colui che appresti delle “cure” al paziente, per debellare la malattia, quanto colui che se ne prende “cura”, per
aiutarlo nella sua fragilità a propiziare la guarigione. Non sono dimensioni sovrapponibili. Una cosa è porsi come scopo debellare la malattia, altra, ben diversa, coltivare l’obiettivo di curare il malato: questo comprende anche quello, ma quello non implica questo. Senonché, in modo insensibile ma costante, negli ultimi due decenni soprattutto, si assiste ad un fenomeno che progressivamente rovescia il rapporto fra medicina e tecnologia: questa diventa dominante e quella servente. Ormai, lo specifico del medico non è più in modo preminente il rapporto con il malato – basato sulla visita ispettiva e la percezione diretta dei dati clinici – ma l’acquisizione dei dati diagnostici
rilevati attraverso sofisticati ritrovati tecnologici.

Il dato tecnologicamente assunto spodesta tendenzialmente la percezione diretta di quelli clinici, privando il medico di una sua funzione essenziale e finendo col far evaporare i tratti salienti della sua relazione col paziente. In tal modo, senza forse avvedersene, la medicina si è già avviata verso l’epoca del suo tramonto, ridotta a semplice e lucrosa “occasione” per asseverare i nuovi traguardi di un sapere tecnologico sempre più autoreferenziale e sempre meno incline a tener conto della persona del paziente come irrinunciabile punto di riferimento, ormai
abbandonato dal medico al neutro dispotismo dei protocolli terapeutici, costruiti con anonimi quanto pericolosi algoritmi.

A nulla son valse le preoccupazioni espresse da Ivan Illich, quando denunciava la medicalizzazione tecnologica della morte quale epifenomeno della perdita del senso, non solo della morte ma anche
della vita. A nulla quelle di Giorgio Israel, il quale, sottolineando l’esigenza di recuperare la centralità del ruolo del paziente come essere umano,
ha recentemente ribadito come il concetto di salute – sul quale già Gadamer aveva scritto pagine illuminanti – non risieda nel conformarsi
a un ideale esterno, ma “ si definisca nella relazione fra coscienza del soggetto e il suo organismo”. La storia marcia spedita e apparentemente inarrestabile verso il definitivo tramonto del rapporto fra medico e paziente, celebrando la
scomparsa del primo, espulso dalla eclisse del secondo.

Basti vedere ciò che oggi accade sotto i nostri occhi. Legioni di medici, protetti dallo scudo penale e perciò privati di ogni responsabilità e libertà, procedono a vaccinazioni di massa di sconosciuti pazienti senza nome, senza volto, senza storia. Disinteressati quelli alla sorte di questi. Abbandonati questi alla irresponsabilità di quelli.