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Italia, il gas c’è ma non lo estraiamo. Lo scoop di “Fuori dal Coro”

Pubblicato il 17/03/2022 11:12

Piattaforme completamente spente, che potrebbero estrarre gas più che mai prezioso, in questo momento storico, ma non lo fanno. Al largo del Mar Adriatico. Ma in generale sparse lungo tutto il perimetro dello Stivale, dalla Romagna alla laguna di Venenzia, passando per le Marche e per l’Abruzzo. Strutture che tornerebbero utilissime in un momento in cui si parla di emanciparsi dalla Russia di Vladimir Putin. E che però continuano a non funzionare.

Come raccontato dal giornalista Tommaso Mattei in un servizio andato in onda durante il programma Fuori dal Coro, in Italia ci sono infatti “752 pozzi di estrazione del gas completamente inattivi su un totale di 1.298 punti di estrazione”. Le immagini hanno mostrato tante strutture spente, inoperose. Come la “Fabrizia 1” davanti San Benedetto del Tronto, in un’area classificata dal ministero della Transizione Ecologica come “pozzo produttivo non erogante”.

Il gas, quindi, in quel punto ci sarebbe. Ma non viene estratto. Rimane lì, mentre il nostro Paese continua a importarne grandi quantità a caro prezzo. “Impensabile che in un Paese come l’Italia possa accadere questo” è stato il commento di Michelangelo Tortorella, CEO di DG Impianti. Nel 2000 nel Mar Adriatico si estraevano 17 miliardi di metri cubi di gas, oggi solo 800 milioni. Il 95% in meno. “La peggior condizione possibile per noi” ha spiegato ancora Tortorella.

Sempre nell’Adriatico, Fuori dal Coro ha mostrato un’altra piattarforma, la Davide. E anche in questo caso, dando un’occhiata ai dati offerti dal ministero della Transizione Ecologica, si scopre che i pozzi produttivi non eroganti sono ben 4. Secondo Oscar Guerra, amministratore delegato di Rossetti Marino spa, “di gas ce ne sarebbe ancora parecchio, circa 140 miliardi di metri cubi di gas ancora presenti in Italia”. Nel 2021, però, abbiamo estratto dal nostro sottosuolo solo 3,34 metri cubi di gas quando invece ne avremmo a disposizione molti, molti di più. E così ci ritroviamo a importare il 94% di questa risorsa, pagandola 70 centesimi al metro cubo. Il nostro ci costerebbe soltanto 5 centesimi.

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