di Alessio Mannino.
Fir, ovvero Fondo Indennizzi ai Risparmiatori turlupinati: è guerra fredda al Mef tra il ministro Gualtieri (Pd) e il sottosegretario Alessio Villarosa (M5S). Un gioco al massacro in cui a rimetterci, naturalmente, sono i 144mila ex soci delle defunte popolari che hanno inoltrato le domande per un misero rimborso (appena il 40% d’anticipo sul 30% del dovuto).
In un mese e mezzo la commissione “indipendente”, in realtà emanazione del Ministero dell’Economia e Finanza, ne ha bonificate solo 3300: a questi ritmi finirà il lavoro quando parecchi destinatari, anziani fidatisi per una vita dei banksters locali, non saranno più fra noi. Rinfocolatosi nuovamente il malcontento delle associazioni delle vittime dei crac, Villarosa cerca maldestramente di ributtare la palla nel campo della burocrazia, cioè di Gualtieri.
Fra i due, da mesi c’è una bella gara a chi scarica il barile sull’altro. L’agitatissimo grillino si è intestato la battaglia del Fir, benchè si sia scoperto di recente che non ha mai avuto alcuna delega formale a occuparsene. Il piddino è molto più furbo: senza proferire parola, si limita a lasciare che i commissari tecnici, i cui servigi costano 190 mila euro all’anno (30 mila per il presidente e 20 mila per gli altri, con un un gettone di presenza per ogni riunione di 300 euro per il primo e 200 per i secondi), procedano a passo di lumaca.
Villarosa spera ancora nei voti degli azzerati, Gualtieri se ne cura meno di zero. Così, mentre per il sottosegretario sdelegato è una questione di sopravvivenza inseguirne il consenso reagendo in modo scomposto alle critiche, viceversa nulla tange il mellifluo titolare del Mef. Neppure la gravissima accusa di presunto conflitto d’interessi, sollevata il 14 ottobre dal sottoposto riguardo “alcuni dei membri della Commissione tecnica” che sarebbero stati “consulenti ed aver avuto stretti legami con Ugone”, portavoce dell’associazione ‘Noi che credevamo nella BpVi’ (che ha prontamente smentito).
Un attacco personale che, se verificato, avrebbe come conseguenza la delegittimazione dell’intero organismo ministeriale. Di qui il contrattacco di Gualtieri, che pochi giorni dopo delegittima a sua volta l’incauto accusatore chiarendo di non avergli mai attribuito il compito specifico di seguire il dossier. Il 17 ottobre, perso del tutto il controllo, Villarosa alza il polverone additando Gualtieri e il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, di non voler sganciare i quattrini che invece hanno trovato per salvare Montepaschi. Che è un po’ come scoprire solo ora che il tuo avversario di ieri è diventato l’alleato di oggi. Strepitando per l’umiliazione, Villarosa ha proclamato che “la delega alle banche spetta di diritto al M5S”. Arrivati a un tale punto di rottura, un uomo politico che tiene alla faccia si si sarebbe dimesso per protesta seduta stante.
Invece no. Passato più di un mese, la settimana scorsa l’esautorato non solo ritira fuori il j’accuse ancora senza prove (“chiederò una nuova conferma dei requisiti a tutti i membri della commissione”), ma spara a salve la proposta di raddoppiare l’anticipo all’80% (sempre sul 30 per cento: in pratica più o meno si andrebbe al 24% sul totale). Olè.
Ma sì, abbondiamo: perchè non al 100%, allora? E che senso avrebbe ormai il piano di riparto, se ci avviciniamo allegramente all’agognata somma finale? Interrogativi che non fermeranno il fuoco di sant’Antonio che anima il Villarosa furioso, che cerca malamente di recuperare terreno roteando numeri e sospetti nel vuoto. E sì, perchè ce lo immaginiamo il Gualtieri, a cui non può fregar di meno di questa rottura di scatole di Fir, mentre seraficamente si gusta in poltrona le rodomontate del donchisciotte della mancia. Anzi, della mancetta.