Abbiamo analizzato le informazioni pubbliche dei bilanci e documenti ufficali delle piu grandi società energetiche del paese, per capire chi sta davvero facendo i sovra profitti grazie all’elevato prezzo del gas, e di conseguenza dell’elettricità. Infatti, il primo è la causa del rincaro della seconda, in quanto ancora per circa il 60% delle ore di produzione, viene bruciato gas naturale per produrre elettricità in Italia. Ed essendo il ciclo a gas la tecnologia piu costosa, è quella che determina poi il prezzo finale sul mercato.
Vero è che un produttore da fonti rinnovabili, che usa l’energia di acqua, vento e sole per produrre elettricità, non ha visto un progressivo aumento dei costi, a differenza di chi brucia il gas nelle centrali termiche, e quindi può beneficiare dei prezzi di vendita più alti, che sono determinati dalle centrali a gas. Ma ci sono dei distinguo: ad esempio la piu grande utility italiana, ENEL, ha già venduto a termine la propria elettricità ai clienti finali, dai grandi energivori a piccoli retail, con dei contratti pluriennali. Ad esempio, dalle slides della presentazione del piano industriale si legge che per il 2022 tutta l’elettricità è stata venduta a circa 60 euro al MWh, quindi ben lontana dai circa 200 euro al MWh dei prezzi spot correnti. Ciò significa da un lato che, almeno nel 2021, ENEL non farà sovra profitti e dall’altro lato che i clienti finali non stanno subendo i rincari dei prezzi, almeno fino alla scadenza del loro contratto.
Al contrario i produttori di gas e petrolio stanno realizzando ingenti sovra guadagni grazie al rialzo dei prezzi delle commodities. Ad esempio, ENI ha appena pubblicato i dati di fine 2021, che mostrano una crescita impressionante della generazione di cassa, grazie all’elevato prezzo del gas (e del petrolio) a cui la società puo vendere al mercato finale, senza per questo avere sostenuto dei pari incrementi di costo. Infatti, la generazione di cassa netta operativa è stata a livelli quasi record di 4,6 miliardi di dollari in un solo trimentre (l’ultimo del 2021), e di ben 12, miliardi di dollari in tutto il 2021. Gli analisti finanziari stimano che ogni movimento al rialzo di 10 USD/barile per il greggio o di 10 USD/mcf (mille metri cubi) del prezzo del gas naturale europeo abbia una generazione di flusso di cassa per ENI di circa 1,7/1,8 miliardi di dollari.
Come scrive anche il FT, quindi, le oil major occidentali si preparano a riacquistare le proprie azioni per un ammontare a livelli quasi record (circa 40 miliardi di dollari) nel 2022, poiché l’impennata dei prezzi del petrolio e del gas consentirà loro di generare profitti eccezionali e aumentare i rendimenti per gli investitori.
Le sette supermajor sono pronte a restituire agli azionisti dai 38 ai 41 miliardi di dollari a seconda delle stime, ossia quasi il doppio dei 21 miliardi di riacquisti completati nel 2014, quando il petrolio è stato scambiato l’ultima volta sopra i 100 dollari al barile. Le stime sono per una cifra che non si vedeva dal 2008 ed a cui bisogna aggiungere altri 50 miliardi di dollari di dividendi.
Forse il Governo, piuttosto che accanirsi sui produttori di fonti rinnovabili, dovrebbe pensare a tassare anche i sovra profitti di chi produce il gas e il petrolio, che sono la causa, insieme ai certificati di emissione di CO2, del rincaro dei prezzi dell’elettricità.