Due fanni fa Abdul Ghani Baradar si trovava in una prigione pachistana, dove era rinchiuso. Oggi è il capo politico dei talebani nonché il volto più noto, insieme al generale Haibatullah Akhundzada. Una metamorfosi dietro la quale c’è la precisa volontà degli Stati Uniti, a conferma di come la situazione in Afghanistan sia molto meno improvvisata di quanto si potrebbe pensare. Una storia emblematica.

Come raccontato dal Corriere della Sera, Abudl aveva combattuto contro i sovietici negli anni ’80 come un vero e proprio mujaheddin. Dopo la cacciata dei russi, con la guerra civile che spaccò il Paese, Baradar aveva istituito una madrasa a Kandahar con il suo ex comandante e presunto cognato, Mohammad Omar. Insieme, i due mullah avevano fondato i talebani, un movimento guidato da giovani studiosi islamici dediti alla purificazione religiosa del Paese e alla creazione di un emirato.

I due erano riusciti a conquistare il potere nel 1996 grazie a una serie di imprese militari, sorprendendo il mondo, con Baradar che era riuscito anche successivamente, in esilio, a mantenere il ruolo di leader. Una volta in Pakistan era diventato capo della Shura di Quetta, il governo in esilio dei talebani, “più resistente al controllo dell’Isi e più portato ai contatti politici con Kabul”. Malvisto dalla presidenza Obama, era stato arrestato nel 2010. Nel 2018, il vento era cambiato con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump.

Rilasciato per condurre i negoziati in Qatar, Baradar è diventato uno dei vincitori indiscussi di una guerra contro gli Usa e contro il governo dei signori della guerra durato 20 anni. In una dichiarazione televisiva sulla caduta di Kabul, ha affermato di recente che per i talebani ora inizierà il momento della verità, con la necessità di mettersi al servizio della popolazione. Ha firmato l’accordo di Doha con gli Usa nel 2020, ora è l’uomo più in vista dei talebani. Con la benedizione degli americani. A conferma di come molto, di questa crisi, era stato previsto e organizzato.
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