Dopo la sfrenata corsa ai vaccini, pagati a peso d’oro dai gioverni di tutto il mondo nonostante i dubbi su efficacia e sicurezza, è arrivato il momento delle riflessioni sulle possibili alternative. Un passaggio invocato da tempo da tanti esperti e sul quale, però, soltanto ora ci si sta concentrando davvero. In questo contesto, come raccontato dal Messaggero, l’Istituto di biofisica (Ibf) del Cnr di Milano ha attivato una collaborazione con il Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia (Icgeb di Trieste) per testare direttamente sul Covid-19 le molecole caratterizzate dai ricercatori Ibf nei laboratori del Cnr di Milano.
Tra i risultati raggiunti dal gruppo di ricerca, a catturare l’attenzione della comunità scientifica è stata la scoperta dell’attività antivirale dell’ivermectina, antiparassitario già utilizzato nella cura di alcune gravi malattie tropicali. Una proprietà della quale, in realtà, il team era a conoscenza dal 2009, quando era stato depositato un brevetto non portato avanti per mancanza di fondi. Ora, la necessità di sconfiggere definitivamente il Covid e mettere fine alla pandemia ha puntato nuovamente i riflettori sulle proprietà antivirali dell’ivermectina.
Nei giorni scorsi, alcuni ricercatori australiani hanno pubblicato sulla rivista Antiviral Research uno studio sulla capacità dell’ivermectina di eliminare il Covid-19 entro 48 ore dall’infezione su cellule umane. Il farmaco potrebbe dunque presto trasformarsi in preziosa arma contro il virus, anche perché nel frattempo agli studi italiani se ne sono aggiunti altri effettuati dall’università di Liverpool e che dimostrano come il vermifugo sia associato a una riduzione dei livelli di infiammazione fino all’eliminazione del coronavirus, oltre a una riduzione della mortalità e della degenza ospedaliera.
Stando ai risultati degli studi analizzati a Liverpool ed effettuati in Spagna, Argentina, Egitto, Iran, India, Bangladesh, Nigeria, Pakistan, Turchia, Argentina e Iraq, sembra evidente una riduzione del tempo fino all’eliminazione del virus, una riduzione della degenza ospedaliera, un tasso di recupero clinico superiore al 43% e tassi di sopravvivenza superiori all’83%. Tuttavia i ricercatori britannici sconsigliano di approvare l’uso di ivermectina fino a quando non saranno effettuati ulteriori studi.
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