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Denunce contro Draghi, l’Avv. Mori spiega come opporsi alla richiesta di archiviazione delle procure

Pubblicato il 03/03/2022 13:36 - Aggiornato il 07/12/2022 18:06

A seguito delle denunce presentate nei confronti del Governo guidato da Mario Draghi in riferimento a quello che senza mezzi termini deve essere definito ricatto vaccinale sono state notificate numerose richieste di archiviazione. Il reato ipotizzato è quello di violenza privata previsto dall’art. 610 del codice penale.

Una di queste richieste di archiviazione è arrivata dalla Procura della Repubblica di Genova ed è stata oggetto di opposizione al fine di proseguire in questa importante battaglia a difesa della libertà e dello stato di diritto.

Pubblichiamo uno stralcio delle argomentazioni difensive preparate dall’avv. Marco Mori e che ora dovranno essere vagliate da un Giudice.


Il delitto di violenza privata si configura laddove chiunque, attraverso la violenza o la minaccia, imponga a qualcuno di fare, tollerare od omettere qualche cosa.

La minaccia ovviamente esiste quando il male prospettato con essa è un male giuridicamente ingiusto.

La responsabilità diretta del Ministro proponente e del Presidente del Consiglio per ciò che concerne l’attività legislativa è oggetto di espressa previsione costituzionale espressa ex art. 89 Cost.: “nessun atto del Presidente della Repubblica (…) è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.

Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri”.

In sostanza l’attività legislativa comporta sempre un’assunzione di responsabilità giuridica, ciò è ancora più vero quando si utilizza lo strumento del decreto legge, da valutarsi secondo i consueti principi del nostro ordinamento sia in ambito civile che penale.

La commissione di un delitto attraverso detta attività non può essere aprioristicamente esclusa, ma va valutata alla luce di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie.

La legge Costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1 nel riformare l’art. 96 Cost. disciplina propriamente la procedura relativa ai reati commessi dal Presidente del Consiglio e dai Ministri nell’esercizio delle loro funzioni.

L’astratta punibilità degli stessi per atti del proprio ufficio non solo dunque non trova esclusioni nell’ordinamento, ma è espressamente contemplata.

Vero che in linea generale il legislatore può decidere che alla violazione di una norma debba seguire una sanzione, ma nel caso di specie la tipologia di sanzione è la soppressione di diritti costituzionali ricompresi nei principi fondamentali dell’ordinamento, norme neppure soggette alla procedura di revisione costituzionale ex art. 138 Cost.

Un esempio concreto può in ogni caso valere più di mille considerazioni giuridiche.

Estremizzando la fattispecie (anche se quella per cui si è denunciato è già estrema) infatti si può comprendere appieno come l’attività legislativa non possa ritenersi a priori immune da qualsivoglia riflesso penale.

Poniamo che il Governo decida di emanare un provvedimento diretto a discriminare una determinata etnia, disponendo l’espulsione dal territorio di chi ne fa parte e il carcere per chi non decidesse di adempiere all’obbligo prescritto, appunto quello di lasciare il Paese.

Si tratterebbe di un atto aberrante, palesemente incostituzionale sotto plurimi aspetti. Ebbene la risposta dell’ordinamento non potrebbe concludersi semplicemente nel sollevare l’eccezione di illegittimità Costituzionale di una norma di questo tipo.

La norma così licenziata sarebbe tecnicamente il corpo del reato con ogni conseguenza, anche in riferimento ad eventuali provvedimenti di sequestro che sarebbero gli unici idonei ad interrompere il reato in corso ed impedire l’applicazione di una vergognosa legge razziale.

Non sarebbe in quel caso assolutamente abnorme ad esempio la richiesta di un Pubblico Ministero volta al sequestro preventivo della norma (si sequestrerebbe la parte di G.U. in cui la stessa è pubblicata) per interrompere le conseguenze del reato, esattamente come ad esempio si procede quando si decide per il sequestro di un atto notarile regolarmente trascritto.

Il GIP poi ben potrebbe vagliare la questione ed eventualmente, rilevata la pregiudiziale di costituzionalità, fermo il sequestro, trasmettere gli atti alla Corte Costituzionale.

Appurato l’elemento oggettivo del reato, occorrerà semplicemente valutare l’elemento psicologico che nell’esempio estremo appena menzionato sarebbe già in re ipsa nell’intento di attuare una discriminazione razziale.

Ma dopo questa digressione, per far comprendere che ritenere aprioristicamente esclusa la possibilità che l’attività normativa possa di per se costituire reato è totalmente errato, occorre tornare alla fattispecie oggetto del contendere che si pone su livelli di gravità assolutamente similari ed esaminare sia la legittimità del presunto obbligo che la legittimità della relativa sanzione prevista per la sua violazione.

Ci troviamo innanzi al divieto di svolgere il proprio lavoro (tutti i lavori per gli ultra cinquantenni). Questa scelta normativa è, senza alcun dubbio, l’equivalente di una pena di morte, seppur indiretta.

Pena dunque peggiore della stessa carcerazione.

Una simile sanzione non può trovare quartiere nel nostro ordinamento anche per radicale incompatibilità con l’art. 27 Cost.: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”.

In sostanza una cosa è una sanzione una tantum di € 100,00 per violazione di un obbligo vaccinale, un’altra è considerare sanzione direttamente il divieto di lavorare così togliendo ad un cittadino la possibilità di sostentarsi.

Viene lasciata alla vittima unicamente la possibilità di decidere semplicemente se adempiere all’obbligo o morire letteralmente di fame. Non siamo dunque affatto in una situazione dissimile dall’esempio limite sopra menzionato e pertanto si è completamente fuori dallo stato di diritto, ma nell’ambito di una piena responsabilità penale.

Il divieto di lavoro, privando i cittadini di quanto necessario a mantenere se stessi e la propria famiglia, configurandosi appunto come una pena di morte indiretta, è certamente contrario al rispetto della persona umana di cui all’art. 32 Cost. oltre ad essere contrario pressoché a tutti i principi fondamentali dell’ordinamento a partire dagli artt. 1, 4 Cost. e del già citato art. 27 Cost.

La totale inefficacia dei vaccini nel prevenire i contagi, nonché l’eguale contagiosità dei vaccinati rispetto a chi non lo è, rendono poi evidente come nel caso di specie non si sia in alcun modo innanzi ad una misura di carattere sanitario, che comunque non potrebbe in ogni caso giustificare la soppressione degli individui dissenzienti togliendogli quanto necessario a sostentarsi, ma ad una scelta politica che punta ad imporre attraverso il ricatto ciò che non poteva essere imposto tramite il diritto.

Un trattamento ad approvazione condizionata e con simili effetti collaterali già accertati, oltre che come detto di comprovata inefficacia nel contenere i contagi, non poteva essere reso obbligatorio.

Sembra che si sia dimenticato, in punto effetti avversi, che le sole conseguenze tollerabili menzionate dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale sono quelle temporanee, che dunque portano alla guarigione della persona soggetta a trattamento sanitario obbligatorio (cfr. sentenza n. 258 del 1994 richiamata anche nella sentenza più recente in materia n. 5/2018).

Aifa (l’Agenzia Italiana del Farmaco) nel suo rapporto annuale (https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1315190/Rapporto_annuale_su_sicurezza_vaccini%20anti-COVID-19.pdf) conta oggi 22 morti correlate alla vaccinazione e oltre 200 morti per i quali non si può determinare alcunché e che secondo il principio di massima prudenza debbono allo stato essere considerati come correlati.

I casi di cronaca drammatici sono noti a tutti, a partire dalla povera Camilla Canepa, deceduta a causa del vaccino al primo open day destinato ai giovani in Liguria e che avrebbe dovuto portare immediatamente a fermare questa follia collettiva, riconsegnando piena libertà di scelta ai cittadini.

Quindi l’illegittimità dell’obbligo vaccinale sussisterebbe anche sotto questo profilo essendo tali conseguenze certamente non temporanee, come parimenti non sono temporanee quelle relative agli effetti avversi gravi.

La farmacovigilanza (pag. 20 del rapporto citato), evidenzia che le reazioni avverse sono oltre 117.772 di cui 16,2% gravi, con un tasso di 17,6 eventi gravi ogni 100.000 somministrazioni.

Sono considerati eventi gravi, si legge nel rapporto, quelli consistenti in ospedalizzazione, intervento di pronto soccorso, pericolo immediato di vita, invalidità (per definizione dunque non temporanea), anomalie congenite, decesso o altra condizione clinicamente rilevante. Il 35,9% di queste segnalazioni sono valutate nel rapporto come correlate alla vaccinazione (pag. 22).

Dati davvero allarmanti oltretutto rilevati con una vigilanza passiva e dunque idonea a fotografare solo la punta dell’iceberg dei reali effetti avversi.


La pregiudiziale di legittimità Costituzionale (sia in riferimento all’obbligo che al tipo di sanzione prevista) tuttavia, ad avviso di chi scrive, non è passaggio obbligato ai fini della prosecuzione dell’azione penale nei confronti dei responsabili dei provvedimenti ricattatori attualmente vigenti.

Sta attualmente passando sostanzialmente inosservato che il regolamento UE 953/2021 vieta espressamente la discriminazione di chi, per scelta, non intenda sottoporsi al trattamento vaccinale anti Covid.

Tale regolamento è sovraordinato alla normativa nazionale, le ragioni giuridiche sono note e non richiedono approfondimento in questa sede.

Il regolamento UE citato, così come rettificato nella prima erronea traduzione il 5 luglio 2021, al considerando n. 36 recita testualmente: “E’ necessario evitare ogni discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate (…) o hanno scelto di non essere vaccinate”.

L’ultima inciso, oggetto di rettifica, non compariva nella traduzione italiana del testo del regolamento ma compariva, fin dal principio, nel testo originale in lingua inglese: “or chose not to be vaccinated”.

La scelta di non vaccinarsi è dunque pienamente legittima e non può portare a conseguenze di tipo discriminatorio nei confronti di chi legittimamente la percorre. Come detto non si vede nulla di più discriminatorio e violento di impedire ad una persona non vaccinata di poter lavorare, posto che il lavoro è lo strumento con cui le persone si garantiscono la sussistenza, la natura alimentare della retribuzione non può infatti essere oggetto di discussione.

Ultimo inciso sulla diretta applicabilità del considerando n. 36 del citato regolamento si rinviene nella norma di chiusura dello stesso.

Art. 17: “Il presente regolamento entra in vigore dal giorno della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (n.d.s. 15.06.2021). Esso si applica dal 1 luglio 2021 al 30 giugno 2022”.

Ed ancora a chiusura: “Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”

Pertanto nessun dubbio residua sull’applicabilità diretta del considerando n. 36 nel nostro ordinamento e conseguente dovere di disapplicazione della difforme normativa interna.

In conseguenza la minaccia dell’esecutivo dovrebbe trovare ampia e totale disapplicazione nell’ordinamento anche senza la necessità di alcun vaglio preventivo di legittimità costituzionale.


Alla fine della configurabilità di un illecito penale è necessaria ovviamente la sussistenza dell’elemento psicologico del reato che nel caso di specie si sostanzia nella volontà espressa di spingere a subire un trattamento sanitario attraverso il ricatto, ben sapendo che l’obbligo diretto non sarebbe giuridicamente possibile.

La stessa normativa emanata dimostra tale dolo, nessun obbligo vaccinale diretto è stato imposto, ma si è proceduto con la tecnica di spingere i cittadini a farlo togliendo loro diritti via via sempre più importanti. Ma alle eloquenti scelte normative fanno da corollario le innumerevoli dichiarazioni rilasciate in pubblico dai membri del governo. A titolo esemplificativo se ne citano due.

In primis la risposta data da Draghi alla domanda specifica di un giornalista durante la conferenza stampa del 2 settembre 2021 (https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/draghi-si-obbligo-vaccinale-e-terza-dose/AEgaRIg) quando fu chiesto al Presidente del Consiglio se intendesse rendere obbligatorio per tutti il vaccino successivamente all’approvazione definitiva del farmaco, visto che al momento l’obbligo era giuridicamente impossibile perché si trattava di trattamento approvato in via condizionata ed emergenziale, come affermava il giornalista stesso nella domanda.

La risposta affermativa di Draghi, senza ulteriori specifiche, confermava come il Governo fosse frenato da ostacoli giuridici mentre la decisione politica circa l’obbligo era già stata presa. L’obbligo dunque per Draghi sarebbe stato introdotto, ma solo quando giuridicamente possibile.

Ovvio che se si ha questa consapevolezza, imporre surrettiziamente la vaccinazione con ricatti di vari intensità dimostra ulteriormente l’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 610 c.p.

Decisamente confessoria è poi la surreale dichiarazione del Ministro Renato Brunetta (https://youtu.be/L-plSaRHT2E) del giorno 11 settembre 2021: “il gioco da fare è aumentare agli opportunisti il costo della non vaccinazione. Come glielo aumento agli opportunisti? Qual è la logica, devo dire geniale, del greenpass, o ti vaccini (…) e allora ti fai i tamponi. I tamponi sono un costo psichico, il fatto di infilare dentro il naso fino al cervello i cotton fioc lunghi è un costo psichico e il costo monetario (…) più il costo organizzativo. Tu gli aumenti il costo, aumentandogli il costo tu lo spingi a ridurre lo zoccolo (n.d.s. “duro” dei non vaccinati)”.

All’epoca dell’intervento di Brunetta l’obbligo generalizzato per gli over cinquanta ancora non esisteva, ma le sue parole rendono chiarissimo il fine e lo schema dell’azione di governo che poi è stato via via espanso.

Davvero non si comprende come si possa ritenere tutto questo anche solo lontanamente compatibile con i principi fondanti del nostro ordinamento.


Per tutto quanto sopra esposto si chiede che l’Ill.mo Giudice per le Indagini Preliminari:

  • respinga la richiesta di archiviazione proposta dal P.M.;
  • fissare udienza di comparizione delle parti in Camera di Consiglio ai sensi e per gli effetti dell’art. 410 c.p.p.;
  • disporre la trasmissione degli atti al Tribunale dei Ministri istituito presso il distretto di Corte d’Appello di Genova.

Con osservanza.

Rapallo, 28 febbraio 2022

Avv. Marco Mori