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Paure, sospetti reciproci e rabbiosa discriminazione. Hanno ucciso il senso di umanità. È questo il mondo in cui vogliamo vivere?

Pubblicato il 10/12/2021 21:04

Di seguito riportiamo la lettera che abbiamo ricevuto da una delle nostre lettrici.

“Sono già trascorsi 3 mesi da quando sono stata sospesa dal mio lavoro di insegnante, perché non in possesso di green pass.
Sono stati mesi molto intensi, fatti di incontri, di confronti, di condivisione di idee e progetti, di tanta solidarietà, di crescita personale, ma anche di rinunce e di tanta amarezza. Mesi in cui non ho mai smesso di portare la mia storia e il mio punto di vista all’attenzione della collettività, usando sempre pacatezza, modi garbati e rispettosi, anche quando venivo aggredita verbalmente o messa a tacere. Fortunatamente però ho avuto altre occasioni, in cui ho incontrato persone più sensibili al problema e desiderose di conoscere e di ascoltare con attenzione le mie argomentazioni.

Tuttavia, nulla è cambiato, anzi la situazione è, a mio parere, peggiorata, soprattutto dal punto di vista umano: assistiamo infatti ad una pericolosa spaccatura sociale, alimentata dal sospetto e dalla paura reciproche, ad una inammissibile e vergognosa discriminazione tra cittadini, e ad un affronto alla dignità delle persone, che sono state colpite economicamente e private del loro lavoro, perché in libertà hanno scelto un’altra strada.
Vivo giornalmente intorno a me il clima di sospetto di chi non esce per timore di venire a contatto con un positivo, sento la disperazione di chi non lavora e non sa come fare, la preoccupazione di chi sta per perdere il posto, la rabbia di chi è stato costretto a sottoporsi al trattamento, perché non aveva alternativa, l’indignazione delle famiglie, che vogliono tutelare i propri figli.

Era questo ciò che si voleva ottenere? Questo è il mondo in cui  vogliamo vivere? Nessuna pandemia, nessun pericolo possono giustificare tale situazione.
Da insegnante, dico che le priorità sono e sempre saranno il sentimento di umanità, l’accoglienza e il rispetto verso tutti, il diritto alla libertà e al lavoro, diritti che saranno messi ancora di più in discussione, se non completamente cancellati, dall’imminente obbligo vaccinale per alcuni lavoratori, tra cui i docenti. 
Renderlo obbligatorio mi sembra inopportuno sotto diversi punti di vista.

Per quanto mi riguarda, resto ancora molto perplessa circa l’efficacia del vaccino, poiché, a fronte di un’altissima percentuale di vaccinati, il virus continua a circolare, provocando numerosi disagi (nella scuole italiane, ad esempio, ad oggi ci sono circa 10.000 classi in Dad, nonostante tutto il personale della scuola sia vaccinato o controllato con i tamponi), malattie e decessi. Mi pare anche inutile e discriminatorio: i docenti, come tutti, conducono una vita sociale anche al di fuori dell’ambiente scolastico con il conseguente rischio di contagiarsi e contagiare; se poi il vaccino fosse l’unica, infallibile e sicura arma per frenare il diffondersi del virus, perché non estenderla a tutti con la conseguente assunzione di responsabilità? 

Poco tempestivo, perché, se la scuola fosse stata veramente un luogo pericoloso, l’obbligo sarebbe dovuto scattare a settembre. Poco utile, perché il trattamento, a quanto pare, non immunizza in modo definitivo, ha una durata limitata e presenta numerosi e importanti effetti collaterali. Diventa addirittura improponibile se si pensa che tale obbligo ha come contropartita la sospensione dal lavoro e dello stipendio, riducendo alla fame tante persone preparate, diligenti, competenti e sane e relegandole ai margini della società.

Per me, dunque, risulta sempre più difficile adeguarmi ad una situazione così distante dai principi e dai valori in cui credo e sui quali ho sempre basato la mia professione. D’altro canto, rinunciare ad un lavoro, che ho costruito attraverso anni di studio, che richiede competenze che si costruiscono nell’arco di tanto tempo, e al quale ho dedicato gran parte della vita, è un sacrificio grande e doloroso.

Roberta Salimbeni.”