Di Gianluigi Paragone.
Hanno chiesto ripetutamente di essere ricevuti e ascoltati, hanno chiesto un confronto con il governo. La risposta è stata prima indifferenza, poi un discusso incontro «segreto» fra Mario Draghi e il Ceo di Uber poco prima dell’arrivo in aula del Ddl concorrenza. Uno schiaffo morale, e non solo, alla categoria dei tassisti, che il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto evitare.
Ma ormai è sempre più palese che la priorità di Draghi è quella di smantellare l’economia del Paese e di svendere alle multinazionali interi settori. Basti pensare all’applicazione della Bolkenstein sulle concessioni balneari, che ha già prodotto l’acquisto di migliaia di ettari di coste triestine da parte della Red Bull. Ora è la volta del comparto dei taxi, e io voglio dire chiaramente che sto con i tassisti.
Lo sciopero indetto dalla categoria creerà malcontento, ma non è più tempo di distinguo. Sto con i tassisti perché con coraggio scendono in piazza per difendere il loro lavoro e per non rimanere disoccupati di fronte all’avanzare di liberalizzazioni che, con la concorrenza citata nel Ddl, non hanno niente a che vedere. Con mille sacrifici hanno acquistato costosissime licenze e hanno il diritto di lavorare senza che arrivino i nuovi «liberalizzatori» di Uber.
La norma che prevede l’adeguamento dell’offerta di servizi alle forme di mobilità, che si svolgono mediante applicazioni web, apre la strada a una forma di dittatura al ribasso da parte delle piattaforme online, facendo diventare i tassisti degli autisti a chiamata. Quindi, anche se il loro sciopero causa qualche disagio, io sono dalla loro parte, perché hanno il coraggio di difendere i loro diritti in un Paese in cui i sindacati per primi hanno rinunciato a svolgere il proprio compito, e qualsiasi dissenso viene messo a tacere. Con il Ddl Concorrenza il settore perderà le sue caratteristiche di servizio pubblico e diventerà una vera giungla: e a farne le spese oltre ai tassisti saranno come sempre i cittadini. Lo Stato e il governo ancora una volta si piegano allo strapotere della grande finanza. Tutto questo per favorire piattaforme che producono un grande fatturato pagando il meno possibile gli autisti che prestano servizio sotto le insegne di Uber.
Tutto questo per favorire una multinazionale che ha già perso diverse cause in tutto il mondo per il mancato rispetto delle regole. Questa non è modernità, questa è cessione di un patrimonio nazionale a chi accumula profitti e poi nemmeno paga le tasse in Italia.