Dopo la sciagurata sentenza (politica) sull’obbligo vaccinale è lecito farsi almeno due domande: la Corte Costituzionale è davvero un organismo imparziale di garanzia? E chi sono queste toghe imparziali? Se un verdetto come quello emesso l’altro ieri dalla Consulta risulta essere più ideologico che tecnico è bene porsi degli interrogativi. E allora andiamo a vedere: qual è la provenienza culturale (e come si vedrà in alcuni casi segnatamente politica) della maggior parte degli esponenti della Corte? A fare il punto ci ha pensato Alessandro Rico su La Verità: “Per un terzo, essa si compone di membri nominati in seduta comune dal Parlamento, quindi espressione della volontà dei partiti. Ma neppure nelle nomine del capo dello Stato, o in quelle delle supreme magistrature, si ravvisano rilevanti elementi di riequilibrio. Uniche eccezioni, almeno sulla carta: Nicolò Zanon (entrato al Csm su richiesta del centrodestra) e Luca Antonini (vicino alla Lega e acerrimo rivale del decreto Lorenzin sui vaccini). È noto come la pensi la presidente, Silvana Sciarra. Colei che, durante l’udienza pubblica di mercoledì, ha zittito il professor Augusto Sinagra, critico verso l’editoriale a favore delle iniezioni coatte, che, a pochi giorni dalla sentenza, aveva vergato per La Stampa Donatella Stasio”, ex portavoce proprio della Consulta. E anche questo sarebbe un bell’elemento di dubbia imparzialità. Ma non è tutto. (Continua a leggere dopo la foto)
Quando è stata eletta la Sciarra? Nel 2014, su proposta del Partito democratico. Scrive Rico: “Qualcuno poteva ragionevolmente aspettarsi che, provenendo da quell’area, la giudice, da numero uno della Corte, s’intestasse una battaglia contro il provvedimento di Mario Draghi? Peraltro, a scrivere il primo decreto sull’obbligo vaccinale per i sanitari era stato il Guardasigilli. Marta Cartabia, chiamata al ministero dopo aver presieduto la Consulta di cui faceva già parte la Sciarra. Non lo possiamo chiamare conflitto d’interessi? Definiamolo groviglio. Cortocircuito. Ma sapendolo, avreste scommesso su un esito differente?”. Molto discutibile è anche la posizione della toga Marco D’Alberti, nominato da Sergio Mattarella a settembre. “Il professore romano è stato il consigliere giuridico di Draghi. Su di lui, dunque, gravava almeno una responsabilità oggettiva nella stesura delle norme contestate dai ricorrenti. Non è anomalo che un tecnico al servizio del presidente del Consiglio, dopo, si sia dovuto pronunciare su uno degli atti legislativi prodotti dall’esecutivo per cui lavorava?”. La risposta la diamo noi: sì, è anomalo, molto anomalo. (Continua a leggere dopo la foto)
Il gruppo dei giudici di marca progressista è chiaramente maggioritario, all’interno della Consulta. Rico cita tra gli altri: “Augusto Barbera, costituzionalista all’Università di Bologna, ministro nel governo Ciampi, parlamentare del Pci e del Pds, consigliere regionale in Emilia Romagna, oggi vicino al Pd, che lo indicò per la nomina nel dicembre 2015. Nella stessa seduta, l’Aula votò per Giulio Prosperetti (candidato di Angelino Alfano) e Franco Modugno (sponsorizzato dal Movimento 5 stelle). E come dimenticare Filippo Patroni Griffi? Eletto dal Consiglio di Stato, che ha presieduto fino al 29 gennaio 2022, era stato ministro della Pa per Mario Monti, quindi sottosegretario a Palazzo Chigi, con premier Enrico Letta. Da figure simili, ci dovevamo aspettare tutele?”. (Continua a leggere dopo la foto)
Si chiede in chiusura Rico, dopo aver passato al setaccio la storia politica e accademica degli altri membri: “Ce le vedevate voi, delle toghe con questo pedigree, a smantellare i provvedimenti adottati dai «migliori»? A picconare – citiamo Sorgi – la «condotta di Draghi»? Viene solo da domandarsi se non si faccia prima ad abbandonare ogni ipocrisia. E rassegnarsi all’evidenza storica: viviamo nell’era della polarizzazione. È meglio gettare la maschera? Politicizzare esplicitamente tutti gli organismi pubblici, inclusa la Consulta? Così avviene negli Stati Uniti, dove, paradossalmente, l’autonomia di
risultati sorprendenti”.
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