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“Non è finita qui!” Obbligo vaccinale, Trabucco (Italexit) lancia la sfida alla Corte Costituzionale

Pubblicato il 03/12/2022 09:15 - Aggiornato il 03/12/2022 09:34

La sentenza della Corte costituzionale sull’obbligo vaccinale ha creato un terremoto politico e sociale in Italia. Dopo le primissime polemiche, con Gianluigi Paragone in testa, in quanto leader delle proteste e delle battaglie per i diritti dei lavoratori non vaccinati, adesso si cerca di capire cosa succederà e se c’è ancora margine per invertire la rotta di questo scempio della Costituzione. Per capire come stanno le cose, La Verità ha chiesto un parere al Costituzionalista Daniele Trabucco (Italexit) e all’avvocato Filippo Borelli. A Daniele Trabucco è stata affidata la guida del dipartimento Affari Costituzionali e Riforme Costituzionali di Italexit. Nato a Venezia Mestre nel 1979, il professor Trabucco dopo la laurea in giurisprudenza ha conseguito il dottorato di ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico nel 2012 e, nel 2013, il Master universitario di Primo Livello in “Integrazione Europea: politiche e progettazione comunitaria”. È Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso Indef di Bellinzona (Svizzera), Vice-Referente del Campus universitario e di Alta formazione Unidolomiti di Belluno e autore di numerose pubblicazioni scientifiche di Diritto Costituzionale e Diritto Costituzionale Regionale. Scrive su La Verità insieme a Borelli: “In attesa del deposito delle motivazioni, la Corte Costituzionale non ha affatto dichiarato la conformità a Costituzione dell’obbligo vaccinale. Mentre in alcuni ordinamenti costituzionali (Francia, Germania, Portogallo) ogni pronuncia emessa dall’organo di giustizia costituzionale vincola tutte le pubbliche autorità, incluse le decisioni di non-fondatezza, in Italia le sentenze di rigetto, come quella sull’imposizione del vaccino contro il Sars-Cov2, non sono ritenute efficaci «erga omnes», cioè per tutti, sebbene una corrente dottrinale inizialmente lo avesse sostenuto (si veda Calamandrei)”. (Continua a leggere dopo la foto)

Continuano gli esperti: “Pertanto, la decisione del giudice delle leggi, nella parte in cui ha dichiarato non fondate le eccezioni di costituzionalità sollevate dai giudici amministrativi e ordinari, non ha dichiarato la legittimità delle disposizioni normative impugnate rispetto ai parametri costituzionali considerati nel loro intero complesso (Paladin), bensì, e questo è un aspetto importante da sottolineare, ha respinto le questioni unicamente in relazione alle norme costituzionali invocate e nei limiti delle argomentazioni portate a sostegno dai giudici nelle loro ordinanze di rimessione alla Consulta”. (Continua a leggere dopo la foto)

Concludono Borelli e Trabucco: “Dottrina e giurisprudenza convengono, infatti, nel ritenere che una sentenza di rigetto preclude solo al giudice che ha proposto l’eccezione di risollevarla, ma non ne vieta la riproposizione sia nei successivi gradi dello stesso procedimento, sia in altri giudizi. Inoltre, la stessa Corte costituzionale, con la sentenza 27 gennaio 1958, n. 7, ha ritenuto che una successiva proposizione della questione di legittimità, specialmente se esposta sotto profili diversi e sorretta da argomenti differenti, potrebbe anche condurre a una soluzione diversa, ad esempio a una pronuncia di incostituzionalità. Pertanto, nonostante i toni trionfalistici di una certa stampa, le decisioni di rigetto non dichiarano né in modo assoluto, né in modo immutabile, la legittimità costituzionale di una disposizione normativa”. (Continua a leggere dopo la foto)

Infine, “ha ragione chi sostiene come i giudici costituzionali, pur nello svolgimento di un’opera di interpretazione, si trasfigurino non solo in moderatori dei conflitti sociali, ma in difensori «successivi» di certe scelte politiche particolarmente complesse e delicate la cui messa in discussione avrebbe conseguenze non indolori all’interno dell’ordinamento costituzionale”.

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