Dopo un primo scrutinio andato come prevedibile a vuoto, con i principali partiti italiani che hanno scelto di affidarsi alla scheda bianca, l’umore di Mario Draghi è peggiorato, e parecchio. Non per il voto in sé, che si è svolto secondo copione, ma per l’articolo-bomba lanciato nel frattempo dalla testata The Economist, in passato pronta a elogiare il premier a ogni occasione: “Draghi al Colle sarebbe un male per l’Italia”. Parole che l’ex presidente della Bce non si aspettava e che lo hanno fatto letteralmente infuriare, in un momento già delicato in cui la paura è che nell’urna possa saltar fuori qualche spiacevole sorpresa.
Come raccontato da Dagospia, infatti, Draghi sta vivendo queste ore con un pensiero fisso rivolto ai cosiddetti “franchi tiratori”, espressione che in politica serve a identificare quegli onorevoli che, protetti dalla segretezza del voto, vanno contro le indicazioni dei rispettivi leader esprimendo voti a sorpresa. Proprio per questo, l’attuale premier sta insistendo con una pratica mai vista prima e bollata come “profondamente scorretta” da tanti analisit: si consulta con le figure di spicco dei partiti come fosse già il Capo dello Stato.
A spaventare Draghi, per esempio, è la situazione del Movimento Cinque Stelle: il leader Giuseppe Conte è leader soltanto su carta e, conti alla mano, non controllerebbe più di una settantina di voti. Gli altri pentastellati potrebbero fare di testa propria, in barba a qualsiasi posizione ufficiale del partito, e non sarebbe certo l’attuale premier a beneficiare di eventuali colpi di testa. Per questo sono partite altre telefonate, altri confronti. Come quello con Matteo Salvini, che ha ribadito il no a un presidente del Consiglio “tecnico” come Colao o Cartabia.
Difficile che, in caso di trasloco al Colle di Draghi, possa essere Elisabetta Belloni a prendere il suo posto, nome che non piace affatto alla Lega. Come è quasi impossibile che riesca a spuntarla Carlo Nodio, ex magistrato lanciato da Giorgia Meloni nella volata per Palazzo Chigi: non solo c’è la contrarietà di Pd e M5S, ma anche quella di Salvini e Berlusconi, a riprova di come la coalizione di centrodestra sia ormai sempre più frammentata.
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