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Concorsi pubblici, cambiano i meccanismi di assunzione. “Decreto legge discriminatorio verso i giovani”

Pubblicato il 07/04/2021 14:46

Si cambia la rotta. Il Governo, su proposta del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha approvato una riforma che cambia il meccanismo di assunzione dei dipendenti pubblici.

L’obiettivo (dichiarato) sarebbe quello di accorciare drasticamente il tempo che passa dal momento in cui vene pubblicato il bando di concorso, al momento in cui si assume. “Oggi l’attesa può arrivare fino a quattro anni”, si legge tra le righe del Messaggero. Si punta a ridurre questo tempo fino a 3 o 4 mesi.

Le norme inserite nel nuovo decreto legge danno indicazioni distinguendo tra concorsi già banditi e per i quali nessuna prova è stata ancora svolta; concorsi non ancora banditi, ma che lo saranno durante il perdurare dell’emergenza sanitaria; e infine una normativa “a regime” per tutte le future selezione.

I cambiamenti avranno esiti rilevanti anche nel breve periodo: considerando che a causa dell’emergenza Covid le selezioni erano state congelate, “118.897 posti sono già disponibili nella Pubblica amministrazione”. Di cui “91 mila posti riguardano la scuola, 18.014 fanno capo al Dipartimento della Funzione pubblica (4.536 da bandire) e altri 9.875 già messi a bando da Regioni, Servizio Sanitario nazionale, Comuni, Università, enti pubblici non economici, enti di ricerca e Avvocatura dello Stato”.

Ma siamo sicuri che gli effetti che verranno prodotti dall’introduzione di queste modifiche saranno positivi? Le procedure che verranno avviate dovrebbero tendere a velocizzare e semplificare e non far saltare o tagliar fuori una fetta della platea.

Abbiamo ricevuto da Andrea, un giovane tra i nostri lettori, una lettera con cui commenta così la questione: “Le conclusioni cui si è pervenuti sono particolarmente avvilenti. Il DL è particolarmente discriminatorio nei confronti dei tanti giovani che non hanno avuto la possibilità di ottenere titoli a sufficienza e superare “il test di un algoritmo” che dovrà decidere chi potrà sedersi in sede d’esame per svolgere le prove e chi no. In altre parole mentre prima avrebbero potuto avere una (pari) chance 10 o 20 mila candidati in sede di prova preselettiva, al momento potrebbero essere chiamate a svolgere le prove solo 500 o 1000 persone, scelte sulla base delle esperienze pregresse in P.A., del voto di laurea, di titoli accademici e di alta formazione e via discorrendo”.

“Lo svolgimento dei concorsi per titoli, che non sono una novità, ha avuto già un enorme seguito negativo – impressionando anche l’opinione pubblica – in occasione degli ultimi bandi di concorso pubblicati dal Ministero della giustizia e “avallati” dal DL Rilancio 2020: basta pensare che nel concorso da 2700 cancellieri esperti, 400 direttori e 140 funzionari giudiziari l’età media dei concorrenti – sfoltiti tramite i suddetti titoli a dir poco proibitivi – si aggira intorno ai 55 anni. Chiaramente non è un affronto all’età anagrafica degli aspiranti al posto, ma una critica al sistema che così facendo toglierebbe in automatico la possibilità di concorrere ai più giovani. Il futuro delle nuove generazioni non può essere condizionato dall’eventualità di aver avuto meno opportunità rispetto ad altri: si andrebbe così a ledere l’art. 3 della Costituzione nella parte in cui tratta di uguaglianza sostanziale, di fatto non garantita”.

“Generalizzare una tale forma di reclutamento, scavalcando finanche le normative di base che scandiscono chiaramente le fasi dei concorsi pubblici quali prove preselettive, scritte, pratiche e orali, produce un senso di ingiustizia sociale che porta le persone a perdere ogni speranza sul proprio futuro e sulla propria capacità di riuscita”.

Si fa presto a rinnegare le proprie parole. “A tal proposito vien da chiedersi dove siano finite quelle di Mario Draghi, quando in occasione del discorso inaugurale del mandato alle Camere, ha chiaramente parlato di giovani, di nuove generazioni, di futuro e capacità di ambire a un posto di lavoro pubblico: tutte speranze, queste, che ci sono negate di sana pianta”.