Ecco come lo Stato italiano mortifica i lavoratori e a cosa hanno portato le politiche scellerate di questi anni. Ad avere le eccellenze italiane che si ritrovano a dover scegliere tra l’espatriare o il lavorare in Italia come precari per due lire. Fa caso, dunque, leggere che fra le eccellenze dell’Istituto Spallanzani che hanno isolato il Coronavirus c’è anche una ricercatrice precaria. Si chiama Francesca Colavita, ha 30 anni e, come dichiarato da lei stessa, un contratto co.co.co presso l’Istituto di Malattie Infettive romano. È stata infatti lei, insieme alle colleghe Concetta Castilletti e Maria Rosaria Capobianchi, a lavorare a ritmi serratissimi per riuscire ad isolare il virus.
Al Corriere della Sera ha raccontato: “Che emozione, è stato meno difficile del previsto”. Quando si è presentata la necessità di raddoppiare i turni, Francesca non ha esitato. Lei che, a soli trent’anni, ha già maturato una vasta esperienza anche nello studio del virus Ebola. All’Istituto Spallanzani, come riporta anche HuffingtonPost, “ha un contratto di collaborazione e lavora presso il laboratorio di Virologia e Biosicurezza. Ha partecipato a progetti di sicurezza e cooperazione allo sviluppo in Sierra Leone nel laboratorio installato presso il ‘Princess Christian Maternity Hospital’ di Freetown”.
Francesca è componente di un team al femminile, che ha raccontato come si è arrivati all’isolamento del virus: “Lo abbiamo cullato e abbiamo avuto anche un po’ di fortuna. Sono sei anni che lavoro per lo Spallanzani, prima con un co.co.co, ora con un contratto annuale”, dice. “Guadagno sui 20 mila euro all’anno”. Con un rapido calcolo, sono 1,500 euro al mese. Secondo quanto ha dichiarato l’assessore alla Sanità del Lazio, la ricercatrice ora sarà stabilizzata. “A quanto so i dirigenti erano già interessati a farlo”, dice Francesca Colavita.
Poi aggiunge: “Questo è un settore in cui si lavora per passione. È il motivo per cui, benché il pensiero ci sia, non voglio andare all’estero”. Aggiunge Francesca: “Mi piace quello che faccio e dove lo faccio. Ma in Italia è dura, capisco quelli che se ne vanno. Spero davvero che la situazione migliori”. La ricercatrice precaria, che sta facendo da due settimane test diagnostici sul coronavirus, sostiene che “studiare i virus è stimolante, è una sfida costante, una battaglia in cui stare sempre all’erta. Non c’è sessismo nella ricerca, i problemi sono altri”, sostiene.
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