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“Cento lavoratrici costrette a licenziarsi”. Il fondo del Dubai rileva la ‘Roberto Cavalli’ e la fa a pezzi

Pubblicato il 23/06/2020 09:58 - Aggiornato il 23/06/2020 10:28

Un altro tassello del puzzle rappresentante il tessuto produttivo dell’Italia si perde. Chiude la storica sede di Sesto Fiorentino della casa di moda Roberto Cavalli. Fallito anche l’ultimo tentativo dei lavoratori di salvare la storica sede, in più di cento hanno dovuto firmare una lettera di licenziamento e solo in 54 hanno accettato il trasferimento coatto a Milano, che avverrà a partire da settembre.  

Gianfranco Simoncini, assessore della regione Toscana, racconta: “I lavoratori hanno lottato finché hanno potuto per convincere l’azienda a rinunciare alla chiusura della fabbrica”. Ma alla fine non c’è stato nulla da fare per i 170 addetti -di cui il 65% donne, per lo più mamme, con una età media di 40-45 anni e uno stipendio da 1.500 euro al mese- obbligati a prendere una scelta dolorosa. Si perde così “un enorme patrimonio professionale e umano” e “una risorsa per il territorio”, come riferisce l’assessore. 

Il manifesto.it riferisce: “Alla fine ha vinto il fondo di sviluppo immobiliare Pramac Properties del Dubai, di proprietà del magnate Hussain Sajwani, a capo di un arcipelago di società, che aveva acquistato la Roberto Cavalli lo scorso anno”. Per i manager di Sajwani il trasferimento nel capoluogo lombardo era assolutamente necessario. 

Simona Casali, delegata Rsu Filctem, ha offerto una ben diversa chiave di lettura alla questione: “A Milano ci sono appena venti persone, nello showroom in affitto del marchio, mentre da noi a Sesto Fiorentino c’è uno stabilimento e due palazzine, dove si fa di tutto, dal designer alla produzione, alla commercializzazione. Visto che l’azienda è attiva anche sul mercato immobiliare, scommetto che alla fine ci sarà la vendita degli impianti di Sesto, che si estendono per 25mila metri quadri, tutti di proprietà”.

Il sindaco di Sesto Fiorentino, Lorenzo Falchi, prende atto dell’accordo sindacale raggiunto che alleggerirà l’impatto sociale della chiusura, ma resta “disgustato dal comportamento della proprietà che, fin dall’inizio, ha tenuto un atteggiamento opaco anche nei confronti delle istituzioni, che chiedevano di conoscere il piano industriale”. 

Ancora una volta a pagare è la parte più debole del contesto. I lavoratori italiani, messi con le spalle contro il muro, dovevano scegliere tra il trasferimento o la perdita del lavoro. Mentre il governo resta a guardare l’ennesimo scempio del patrimonio di una Nazione che una volta, prima dell’Euro, era grande.