Per Autostrade si mette male. I giudici del tribunale del Riesame di Genova (presidente Massimo Cusatti, estensore Simonetta Colella e Cristina Dagnino) danno le loro motivazioni in merito alla decisione di accogliere l’interdizione per 10 persone tra ex manager e tecnici di Spea. Nella loro nota, ripresa da Il Secono XIX, si scopre l’intero meccanismo Autostrade. Ora che è messo nero su bianco dai giudici, nessuno potrà più gridare al complotto o dare dei faziosi a chi sosteneva queste tesi. E per i cittadini si parla di “pericolo incolumità”. Si legge infatti nella nota: “Aver riportato, anzi ricopiato, nei rapporti trimestrali i medesimi difetti e voti dei verbali precedenti accampando la giustificazione che non si poteva entrare nei cassoni integra una condotta di falso, per di più falso estremamente pericoloso. È stata fornita una posticcia copertura a gravissime inerzie fonte di potenziali, rilevantissimi, pericoli per la sicurezza dei trasporti e la incolumità pubblica”.
Il tribunale scrive ancora: “Sembra palese al collegio che si è trattato non di mera sciatteria o generica inadeguatezza, bensì del frutto della precisa volontà per tacitare le esigenze di ‘formale controllo’ senza dare conto della realtà di una sostanziale diuturna omissione almeno dal 2013 dei doverosi controlli interni per la ricordata inaccessibilità delle strutture cave, o viene da dire, per l’eccessiva onerosità del ricorso ai presidi tecnici di un’ appaltatrice esterna con cui superarli”. Per i giudici del Riesame, “Aspi e Spea, legate al gruppo Atlantia e pertanto ai medesimi interessi della società controllante, paiono proiettati a una logica di risparmio sui costi di manutenzione”.
“Le condotte contestate, di totale consapevole adesione agli scopi del gruppo, si inseriscono nella emersa tendenza a permeare la gestione dell’attività di sorveglianza e di manutenzione da parte di Aspi tramite la controllata Spea con condotte illecite dettate da motivi di stretta convenienza commerciale”. Le condotte vanno “dalla deviata qualificazione della natura degli interventi – si legge – alla disinvolta attribuzione dei voti circa i difetti delle opere ammalorate, fino alla radicale omissione di ispezioni significative finendo sostanzialmente per occultare situazioni potenzialmente e concretamente pericolose per la viabilità e la sicurezza pubblica”.
“I reati – continuano i giudici – sono gravi, commessi con ripetizione nel tempo, anche dopo il crollo del viadotto Polcevera, a dimostrazione dell’allarmante indifferenza al rispetto della normativa a vantaggio di logiche e indirizzi della struttura societaria di appartenenza di cui tutti i coindagati continuano a fare parte sia pure con mansioni diverse. Così facendo, l’attività di falsificazione in esame oltre a distorcere in modo grave una funzione (quale quella della sorveglianza stradale) particolarmente sensibile per la tutela della sicurezza non consente l’esercizio di alcuna forma di controllo pubblico su comportamenti potenzialmente forieri di ulteriori enormi rischi per la sicurezza della collettività”.
“La misura richiesta – concludono i giudici – pare pertanto il presidio minimo necessario al fine di scongiurare il pericolo di reiterazioni di delitti analoghi in relazione al delicatissimo tema della circolazione e dei trasporti. Anche in pieno svolgimento delle indagini e dopo gli avvisi di garanzia si registrano comportamenti allarmanti in quanto non solo idonei a ostacolare attività istruttorie, ma anche rivelatori di personalità del tutto scevre dalla presa di consapevolezza della estrema gravità delle condotte tenute – pur dopo il crollo del viadotto Polcevera”.
“Comportamenti – scrivono i giudici – del tutto inaffidabili, rivelando quale unica preoccupazione, ancora una volta, quella di nascondere aspetti di verità per contenere il più possibile i confini delle responsabilità sia proprie sia aziendali: ciò si è manifestato in varie forme, dall’acquisto dei jammer (i disturbatori di frequenze per evitare di essere intercettati) alla preparazione dei testimoni”. Questo è il meccanismo Autostrade. E poi Benetton ha anche la presunzione di dichiararsi “vittima” nella sua lettera inviata a Repubblica.
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