Luciano Benetton prende carta e penna e scrive ai giornali. Per difendere e per attaccare. Difendere la famiglia da una “inaccettabile” “campagna d’odio scatenata contro”, “con accuse arrivate da subito e che continuano tuttora con veemenza da parte di esponenti del governo come l’onorevole Di Maio, che addita la famiglia come fosse collusa nell’aver deciso scientemente di risparmiare sugli investimenti in manutenzioni. In pratica come fosse malavitosa. Questo è inaccettabile”. La lettera si presta a diverse valutazioni politiche. Intanto la definizione di campagna d’odio è a dir poco ridicola se non addirittura offensiva verso i cittadini di Genova in primis e verso gli italiani più in generale. Non c’è stata nessuna campagna d’odio ma un giudizio severo e persino duro (l’odio è altro…) a seguito di fatti drammatici che hanno girato il mondo per quanto fossero assurdamente gravi, e a seguito delle intercettazioni emerse dalle indagini in corso. Questioni su cui ritorneremo perché mister Luciano si ritiene anch’egli , quindi… a modo suo vittima.
Prima però vorrei soffermarmi sul bersaglio politico dell’imprenditore veneto, ossia Luigi Di Maio. E quindi sui Cinquestelle. Se fossi in Di Maio mi appunterei questo j’accuse come una medaglia al valore perché significa che il Movimento non ha debiti di alcun tipo con questi signori, non ha legami e non deve sdebitarsi per sponsorizzazioni o finanziamenti vari. (Sarebbe interessante una rendicontazione degli oboli messi qua e là a disposizione di partiti, fondazioni e associazioni varie: Benetton, sono disponibile a venire da lei a Ponzano per una libera chiacchierata in tal senso; accetta?) Io non so quanti leader abbiano la stessa libertà di giudizio, lo stesso spazio di libertà che ha Luigi con tutto il Movimento. Ricordo al boccoluto Luciano che se si considera ferito dalla campagna d’odio gli consigliamo di farsene una ragione senza menarcela troppo, magari prendendo a esempio da Danilo Toninelli che sebbene bersaglio di satire (per nulla guidate da alcuno) non ha mai scritto lettere a Repubblica per chiedere di trovare “il giusto linguaggio”.
Danilo è stato massaggiato con sfottò vari solo perché ha tenuto la barra dritta sulle concessioni autostradali. Di Maio e il Movimento sono liberi di fare politica e di rinfacciare alla famiglia Benetton quel che la cronaca ci sbatte con durezza in faccia. “Le notizie di questi giorni su omessi controlli, su sensori guasti, non rinnovati o falsi report, ci colpiscono e ci sorprendono in modo grave. Ci sentiamo feriti come cittadini, come imprenditori e come azionisti. Come famiglia Benetton ci sentiamo parte lesa”. E ancora: “Di sicuro ci assumiamo la responsabilità di aver avallato la definizione di un management che ha avuto pieni poteri e la totale fiducia degli azionisti”. Scusi, signor Benetton: ma quanto ci avete messo a indicare la porta al vostro (ormai ex) amministratore delegato di Atlantia, Giovanni Castellucci? Anzi, diciamocela tutta: se non si fosse dimesso lui, lo avreste mandato via? Visto che ci sono, le dico anche un’altra cosa: lei ha mai provato a digitare su un motore di ricerca le parole Castellucci e Atlantia? Bene, uno dei primi risultati che l’algoritmo produce come suggerimento è “liquidazione”, il cui importo è ricordato in 13 milioni. Beh, una cifra niente male.
Davvero dunque la famiglia di Ponzano Veneto non sapeva nulla? Davvero pensano che un movimento politico libero assieme ad una massa di liberi cittadini possano bersi senza batter ciglio questa letterina di Natale, di un imprenditore povero tapino vittima di una campagna d’odio guidata dall’hater Di Maio? Suvvia, Luciano Benetton, ci faccia il piacere. Lei potrà chiedere ai suoi amici direttori di “trovare il giusto linguaggio per trattare questi argomenti” (del resto con quel che spende in pubblicità, è un suo diritto…), e sempre lei potrà persino pensare che qualcuno stia cercando il “capro espiatorio da linciare sulla pubblica piazza”, ma nessun cittadino si leverà mai dalla testa che nel profitto di Atlantia ci fossero quelle ombre nella spese di manutenzione che Genova ci ha drammaticamente palesato. Ma quand’anche fosse vera la vostra buona fede, domando al governo: può essere mantenuta la concessione a una società dove il primo azionista stabile ammette sostanzialmente che non si era accorto di nulla? A chi abbiamo affidato le autostrade costruite coi soldi dei nostri genitori e dei nostri nonni?
Questo editoriale è stato pubblicato su Il Tempo di oggi, lunedì 2 dicembre 2019.
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