Era appena entrata in servizio, basti pensare che era stata consegnata il giorno prima alla Start Romagna, la società di trasporto pubblico dell’area romagnola, ma l’auto elettrica Renault Zoe fresca di concessionaria è andata a fuoco. Da sola. L’ennesimo episodio di autocombustione che porta a chiederci come sia ancora possibile fidarsi della mobilità elettrica, uno dei tanti misteri del “Green” elevato a ideologia, in particolare dalla Unione europea. Come i nostri lettori sanno bene, le problematiche e le criticità sono enormi: dal rischio, come in questo caso, dell’autocombustione delle batterie al litio di auto e persino delle biciclette, alla vita propria che queste auto talvolta sembrano avere, intrappolando le persone all’interno, anche in movimento. E poi, sempre in tema di mobilità “innovativa”, un’altra notizia anche più grave giunge dagli Stati Uniti, ovvero la prima vittima (per quanto ne sappiamo) delle auto a guida autonoma della Tesla. Ma andiamo con ordine. (Continua a leggere dopo il VIDEO)
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I fatti
Quando a Rimini, nel parcheggio di Start Romagna in via Carlo Alberto Dalla Chiesa, ha preso fuoco, l’auto elettrica era in sosta e collegata alla colonnina di ricarica. Al momento dell’incendio, per fortuna, non c’era nessuno a bordo e nessuno nelle più immediate vicinanze. Dopo lo spegnimento i Vigili del fuoco hanno accertato che la temperatura della batteria fosse “sotto il livello di rischio”, ripetiamo: sotto il livello di rischio. Eppure, ne è scaturito un rogo che i pompieri hanno faticato ad estinguere, anche perché le fiamme avevano investito anche un’altra vettura lì parcheggiata. Al momento non sappiamo molto altro, ma una considerazione possiamo già presentarla, ovvero quella per cui la rivoluzione green dell’Unione europea – con il previsto passaggio al full electric dal 2035 e la contestuale eliminazione della produzione e della vendita di auto a motore termico, ovvero a benzina e gasolio – subisce, così, un ulteriore scossone e auspichiamo che Bruxelles ne prenda nota. D’altronde, le emissioni di anidride carbonica prodotte dalla generazione di elettricità sono comunque fonti di inquinamento (e non è difficile comprenderlo), tralasciando l’altrettanto importante aspetto dei costi sociali della transizione energetica. (Continua a leggere dopo la foto)
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Negli USA “la prima vittima” della Tesla
Spostiamoci, ora, negli Stati Uniti e parliamo di quanto riporta, tra gli altri, la Repubblica. Una indagine su un fatto avvenuto in Colorado, nel 2022, sta raccoglie indizi e prove sul ruolo della modalità Full-self-driving, cioè la guida autonoma di cui ci siamo occupati già in passato. Il fato ha voluto che Hans von Ohain, la vittima, fosse proprio un dipendente della casa automobilistica creata da Elon Musk, personaggio forse geniale per quanto bizzarro e visionario, che ha una fiducia probabilmente spropositata nella tecnologia. Sta di fatto che “Musk ha venduto un falso senso di sicurezza”, nelle parole della vedova von Ohain dettate al Washington Post, parlando del marito come di una sorta di “Guinea pig” della Tesla, quella che in italiano definiamo cavia. Inizialmente il caso era stato derubricato a “guida in stato d’ebbrezza”. In realtà, dopo quasi due anni la vicenda si riapre: anche se l’autopsia rilevò che von Ohain è morto con un livello di alcol nel sangue di 0,26 – più di tre volte il limite legale – un’indagine della Colorado State Patrol è andata oltre la guida in stato di ebbrezza, cercando di capire quale ruolo possa aver avuto il software Tesla nell’incidente. Quella sera del 16 maggio 2022 a fianco ad Hans c’era Erik Rossiter, sopravvissuto, che ha raccontato come già in precedenza l’auto si fosse comportata in modo bizzarro, obbligando il guidatore a intervenire sul volante per correggere le traiettorie impostate in automatico. Dai rilievi che, ora, sono stati approfonditi pare che il motore abbia continuato a far girare le ruote, dopo l’impatto contro l’albero, chiari segnali di una Intelligenza artificiale impazzita.
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