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Arcuri voleva a tutti i costi le mascherine cinesi: scartate altre 541 offerte

Pubblicato il 15/04/2021 12:09

Voleva a tutti i costi quelle mascherine, provenienti dalla Cina e poi risultate inefficaci contro il Covid-19. Nonostante il costo, superiore a quello di mercato, il commissario all’emergenza Domenico Arcuri non aveva dubbi al momento di scegliere i lotti da acquistare, talmente convinto da scartare, pur di mettere le mani sull’oggetto del desiderio, ben 541 altre offerte. Facendo le fortune di Mario Benotti, mediatore della maxi commessa oggi indagato dalla Procura di Roma per traffico illecito di influenze: avrebbe approfittato della sua conoscenza con Arcuri, l’uomo al quale il governo Conte continuava ad affidare incarichi su incarichi, per portare all’attenzione della struttura commissariale le offerte presentate da lui e dai suoi partner.

Benotti e gli altri mediatori dell’affare con la Cina, secondo gli inquirenti, sarebbero riusciti così ad accreditare la loro offerta come la migliore, scavalcando una nutritissima concorrenza. Talmente forte che, stando a quanto riportato da La Verità, la segreteria della struttura commissariale di Arcuri aveva ricevuto tra marzo e maggio 2020 ben 541 email di offerte per la fornitura di dispositivi di protezione individuale. Alla fine, però, a spuntarla era stata la peggiore di tutte, con l’affare che sarebbe stato definito ancora prima che lo stesso Arcuri ottenesse l’incarico di super commissario, a testimonianza del rapporto tra lui e Benotti.

Una vicenda dai connotati sempre più grotteschi, man mano che le indagini portano a galla nuovi elementi. Per esempio: Benotti avrebbe adirittura recitato una parte attiva nella stesura del provvedimento di nomina di Domenico Arcuri, con tanto di suggerimenti inviati via WhatsApp come farebbe chiunque di noi con un amico, in ben altri contesto. Un dettaglio emerso dai messaggi scambiati tra il giornalista ora indagato e l’imprenditore milanese Andrea Vincenzo Tommasi: “Siamo stati insieme un’ora per vedere il suo decreto e ho dato alcuni consigli”.

Una natura confidenziale, quella che tra il mediatore e il commissario, evidente anche “nel linguaggio convenzionale basato su metafore ecclesiastiche, in cui si chiamavano l’un l’altro Monsignore”. Arcuri in tutto questo continua a ribadire di essere stato semplicemente vittima di un raggiro, che lo vede totalmente estraneo. In un Paese normale, però, sarebbe quantomeno chiamato a rispondere dell’estrema sufficienza con cui ha affidato un affare così importante a un mediatore “amico”, senza le giuste referenze e armato di pessime intenzioni.

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