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Corte Costituzionale, quando l’arbitro diventa giocatore. Lo sconcertante addio di Amato

Pubblicato il 14/09/2022 11:30

Ha destato parecchio scalpore l’addio di Giuliano Amato alla Corte Costituzionale. Non per l’addio in sé, programmato in quanto giunto a scadenza il suo mandato, quanto per il modo. Amato, infatti, non ha perso l’occasione per fare un altro intervento a gamba tesa nei confronti del Parlamento. In fondo il suo mandato si è spesso contraddistinto per il fatto che sotto di lui l’arbitro è diventato spesso giocatore. E così è stato anche sul calar del sipario. Come infatti analizza bene Capezzone su La Verità, “il 18 settembre scade il mandato presso la Corte costituzionale dell’ex presidente del Consiglio, e ieri si è svolta una cerimonia di congedo, nel corso della quale Amato ha rivolto un saluto, non rinunciando a definirsi «timoniere». Metafora autoironica, diranno i laudatores, eppure non pensavamo che il compito di un membro della Consulta fosse quello di determinare alcuna rotta”. (Continua a leggere dopo la foto)

“Ciò che ho detto nasce dal nostro lavoro comune”, ha scandito Amato, “ed entra in un diario di bordo che nella pagina odierna registra solo il cambio del timoniere, non della rotta né della guida collegiale che la determina; e che resta sperabilmente immutata”. E così il “timoniere” si è perfino raccomandato – punzecchia Capezzone – di non modificare la rotta. “Neanche troppo subliminalmente, Amato attribuisce alla Corte un ruolo sostanzialmente legislativo. Per carità, non mancano mai gli omaggi formali al Parlamento: ma poi, a ben vedere, è come se la Corte finisse per contendere al Parlamento l’esercizio della funzione legislativa. Nel discorso di Amato, ci sono almeno due parti che non tornano”. (Continua a leggere dopo la foto)

Spiega Capezzone: “La prima è quando Amato ammonisce contro una presunta «tentazione»: quella «di affermare il primato del diritto nazionale su quello dell’Unione». Amato è preoccupatissimo: e ci fa sapere che il problema «non è solo di Polonia, Romania e Ungheria». Il messaggio è fin troppo chiaro, indirettamente polemico contro chiunque, in Italia, osi chiedere uno scrutinio costituzionale più severo delle norme che giungono da Bruxelles. Peccato che Amato sembri dimenticare che questo è ciò che fanno regolarmente i tedeschi. Perché loro sì e gli altri no?”. La seconda arriva poco dopo, quando evoca indirettamente, chiamandola «collaborazione istituzionale», la recente prassi della Consulta di dare un tempo al Parlamento per legiferare su una certa materia, salvo poi pronunciarsi in caso di mancato intervento delle Camere. (Continua a leggere dopo la foto)

Conclude Capezzone: “Ma (qualunque cosa si pensi nel merito delle questioni su cui si è agito così, a partire dal fine vita) anche questo è un modo surrettizio per trasformare la Corte in una terza Camera. Da qui, consiglieremmo a tutti di riflettere – diversamente dalla dottrina Amato – sul grande lascito intellettuale di Antonin Scalia, che ha dedicato la sua vita a dire no al giudice «demiurgo». Occorre opporsi a qualunque uso della giurisprudenza per legiferare surrettiziamente”.

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