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L’artista Ai Weiwei denuncia: “In Germania nazismo ancora vivo. I tedeschi sono brutali”

Pubblicato il 24/01/2020 12:11

Ai Weiwei è un artista, designer, attivista, architetto e regista dissidente cinese. In un’intervista al Guardian fa un ritratto assai duro e preoccupante della Germania. Ai afferma che i tedeschi sono “brutali” e che “amano vivere oppressi”. Soprattutto “non amano gli stranieri”. Per questo e per proteggere il figlio di 10 anni Lao, si è trasferito a Cambridge dopo aver vissuto a Berlino. Aveva lasciato la Germania per il Regno Unito già l’anno scorso, inseguito da una scia di polemiche. In un’intervista al cianuro, Ai Weiwei aveva citato alcuni episodi di razzismo subiti a Berlino e aveva concluso che il Paese di Angela Merkel “non è una società aperta”. A distanza di pochi mesi, Ai Wiwei rincara la dose in un’intervista al Guardian affermando che “la Germania è intrisa di cultura nazista, i tedeschi sono brutali”.

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“Sono venuto in Inghilterra per mio figlio. Non voglio che viva in condizioni difficili. Non credo che la Germania offra un buon ambiente agli stranieri “. E afferma che il figlio Lao è stato recentemente minacciato da un proprietario di un negozio. Ai non ha illusioni sulla Gran Bretagna, ma pensa che sia comunque meglio per la sua famiglia stare là piuttosto che in Germani. “In Gran Bretagna sono coloniali, ma almeno sono educati. In Germania invece non hanno questa gentilezza. Direbbero che se sei in Germania devi parlare tedesco. Sono stati molto scortesi nelle situazioni quotidiane. A loro non piacciono molto gli stranieri”.

“La Germania è una società molto precisa. La sua gente ama il conforto di essere oppressa. Se paragono la Germania di oggi con la Germania nazista? Beh, il fascismo è pensare che un’ideologia sia più alta di altre e cercare di purificare quell’ideologia respingendo altri tipi di pensiero. Questo è il nazismo. E quel nazismo esiste perfettamente nella vita quotidiana tedesca di oggi”. Poi c’è la sua esperienza. Menziona le tre volte in cui è stato espulso dai taxi. “Non c’era razzismo evidente, ma era abbastanza sicuro di cosa ci fosse sotto”.

“In un’occasione, c’era un forte profumo. Sono sensibile al profumo, quindi devo abbassare il finestrino e loro dicono: ‘Alza il finestrino!’. Dico: ‘No, il profumo è troppo forte’. E loro dicono: ‘Esci dal mio taxi’. Tutto questo a Berlino. E un’altra volta in un taxi, l’autista stava ascoltando musica e il mio telefono squilla. Mia mamma mi chiama dalla Cina, devo rispondere. Dice: ‘Spegni il telefono’. Dico: ‘È mia mamma’. Dice: ‘Devi spegnere il telefono’. Poi ha frenato all’improvviso e io, mio ​​figlio e la mia ragazza siamo stati buttati fuori”.

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