Il rischio per le aziende italiane, piegate da una crisi che ha costretto la stragrande maggioranza di loro a chiudere forzatamente i battenti in attesa della fine dell’emergenza coronavirus, è doppio. Non solo, infatti, dovranno farsi trovare pronte al momento in cui finalmente si tenterà una difficile ripartenza. Ma anche sperare di non essere tagliate fuori da quelle filiere produttive che, in Europa e nel mondo, continuano ancora a lavorare. Un allarme che è stato lanciato proprio in queste ore da Federacciai, che rappresenta le nostre imprese del settore della siderurgia.
“Se noi siamo fermi al 95% ma si continua a produrre in Germania, Francia e Spagna, in prospettiva la siderurgia italiana ne soffrirà come presenza sui mercati, potremmo essere lasciati fuori”. Parole alle quali è seguita la richiesta di un confronto con i sindacati e il ministero dello Sviluppo proprio per cercare di scongiurare questa eventualità tutt’altro che rosea, tentando di allineare il nostro settore alle condizioni dei concorrenti, che con rare eccezioni non hanno cessato l’attività nonostante la crisi.
Rispettare la sicurezza, dunque, per continuare a combattere un nemico silenzioso quanto pericoloso. Senza però per questo tenere fermi tutti i nostri impianti che rischierebbero, in caso contrario, di trovarsi ormai tagliati fuori dal mercato una volta che l’incubo coronavirus sarà finalmente alle nostre spalle. Alessio Banzato, presidente Federacciai, ha rimarcato quest’esigenze nelle scorse ore all’Ansa: “Il nostro è un mondo interconnesso. Se noi ci fermiamo e gli altri Paesi continuano a funzionare, la nostra siderurgia potrebbe patirne in termini di presenza sul mercato. Possiamo essere assenti per un po’, ma non per troppo tempo. Altrimenti saremo lasciati fuori”.
La situazione, all’estero, è infatti diversa da quella italiana. Pur con le limitazioni che la pandemia impone in questo momento, la siderurgia francese, quella tedesca e quella spagnola non sono state costrette al blocco totale, al contrario di quella italiana. I dati sui consumi elettrici forniti da Fondazione Edison, in questo senso, sono emblematici: dal 9 al 25 marzo la diminuzione in Italia è stata del 25%, mentre in Germania soltanto del 5%. Difficile capire quanto ancora a lungo l’industria italiana potrà ancora reggere questa asimmetria. Il rischio, però, è scoprire quanto salato sia il conto soltanto nel momento in cui si proverà a rialzare la testa.
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