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«Vi spiego perché la guerra sta diventando più pericolosa». Il preoccupato allarme del Generale italiano

Pubblicato il 19/09/2022 18:42

L’intervista rilasciata a La Verità dal Generale Marco Bertolini, incursore paracadutista Folgore, è di quelle che suscitano parecchio interesse, specialmente in un periodo storico come quello attuale. Bertolini ha un curriculum di tutto rispetto: Primo comandante interforze operazioni Forze Speciali; esperienze in Libano, Somalia, Bosnia Erzegovina; Capo di stato maggiore di tutto il comando internazionale in Afghanistan. Insomma, uno che di guerra ne sa e che sicuramente può essere in possesso di tutte le informazioni che servono alla cittadinanza per capire cosa sta realmente accadendo in Ucraina.
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Il Generale inizia con una chiara analisi militare di ciò che sta accadendo in territorio ucraino, partendo da alcune considerazioni sul numero di soldati impegnati dalla Russia: «Le forze messe in campo dai russi non erano dimensionate all’invasione dell’Ucraina. Soprattutto all’inizio erano distribuite su un fronte lunghissimo che addirittura partiva dal confine bielorusso ucraino vicino a Kiev per arrivare a Est. Le forze erano molto “diluite”. Si tratta comunque di forze poco significative per un fronte che continua a essere molto lungo». Proprio sui soldati russi, Bertolini dice la sua: «Dai numeri che si sentono, sono stati impegnati tra i 160.000 ed i 180.000 soldati. Un numero assolutamente insufficiente per un’invasione». Gli standard militari per compiere una simile azione infatti sono ben diversi: «In linea di massima dovrebbe essere tre a uno in favore dell’attaccante. Questa superiorità può essere realizzata anche solo localmente, in base all’obiettivo».
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Sui metodi con cui è stata condotta la controffensiva ucraina condotta, il generale ha spiegato che «Si tratta di un’operazione terrestre classica fatta di artiglieria, carri e fanteria, presumibilmente con un apporto decisivo degli aiuti militari occidentali». Un conflitto lui stesso ha più volte definito convenzionale e simmetrico: «Nel senso che grazie a Dio fino a ora non è nucleare. E la guerra è
comunque simmetrica perché condotta da due eserciti che applicano dottrine moderne con mezzi similari in quanto non c’è questa enorme sproporzione sul campo. C’è stata una fase in cui i russi hanno affondato il coltello nel burro, all’inizio dell’operazione. E ora è il momento della controffensiva ucraina. Intendiamoci, le guerre sono fatte tutte così. E non è affatto finita».
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E qui arriva il punto interessante, ovvero l’analisi del generale sulla tipologia di scenario che ci aspetta: «Sarebbe il momento giusto per negoziare. Finora gli ucraini erano parte soccombente e si sarebbero dovuti sedere al tavolo del negoziato con il cappello in mano cercando di salvare il salvabile. Ora hanno dato una dimostrazione di forza non indifferente, grazie all’aiuto occidentale e soprattutto Usa, e questa potrebbe aprire una finestra di opportunità anche per la Russia, almeno a sentire gli accenni sulla necessità di un negoziato da parte del ministro Lavrov. Ma non credo che succederà, perché si innescano anche questioni psicologiche e gli ucraini si sentono incoraggiati, credo illusoriamente, di poter prevalere. Sarebbe necessario ricordare che pure noi nella Prima guerra mondiale abbiamo avuto Caporetto, poi sappiamo come è finita. La guerra è così. L’unica costante sono i morti».
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C’è poi il nodo della centrale di Zaporizhzhia, controllata dai russi ma con la presenza degli ispettori internazionali attualmente sul posto per monitorare la situazione. Come ben sappiamo, «Russia e Ucraina si accusano vicendevolmente di bombardarla, rischiando imprevedibili conseguenze in termini di radiazioni nucleari che ci riguarderebbero direttamente. In questo caso, non sapremmo neppure chi ne è il vero responsabile, innescando però una situazione di pericolosa indeterminatezza che potrebbe scatenare un’escalation che ci coinvolga ancora di più». Nel frattempo, i salotti televisivi italiani pullulano di opinionisti che osservano e commentano giulivi, quasi come se questa guerra fosse un derby di calcio. «Bisogna sempre tenere conto che per la Russia la perdita dell’Ucraina – che non faceva parte del Patto di Varsavia ma dell’Unione Sovietica stessa – sarebbe vissuta come un vulnus mortale. Anche se non ci fosse Putin al potere. E la Russia, piaccia o no, ha l’ambizione di essere una potenza globale ed europea al tempo stesso. Sente quindi che è in gioco la sua stessa sopravvivenza. Per questo sarebbe pericoloso se si sentisse senza una via d’uscita. In quella situazione potrebbe sentirsi obbligata a utilizzare risorse fino ad allora non sfruttate. E noi sappiamo che la Russia quelle risorse le ha».
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A preoccupare l’occidente c’è anche la rinsaldata alleanza tra Russia e Cina. I due Paesi, infatti, fanno grossi affari alle spalle delle sanzioni occidentali, dimostrando una chiara alleanza economica. Ma questa intesa potrebbe diventare anche militare? «Con il venir meno della guerra fredda è rimasta una sola super potenza mondiale. Gli Stati Uniti d’America. Una volta erano due perché c’era pure l’Unione Sovietica. Mi riferisco all’essere superpotenza con un largo giro d’orizzonte: militare, economico, politico e culturale. Oggi, la Russia non è messa bene economicamente, e politicamente ha problemi non indifferenti. Ma rimane comunque una superpotenza militare in termini sia convenzionali sia soprattutto nucleari. E la saldatura economica con la Cina e con l’India potrebbe aiutarla a recuperare terreno da un punto di vista economico».
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Ma, secondo Bertolini, la situazione merita un’analisi più ampia: «Noi adesso siamo giustamente molto concentrati sull’Ucraina. Ci interessa più da vicino e ci spaventa. Però non dobbiamo dimenticare che è solo un tassello di una instabilità generalizzata e crescente che interessa tutto il contorno del blocco euroasiatico che va dall’Atlantico al Pacifico. Consideriamo le frizioni che ci sono in Kosovo e riguardano un Paese come la Serbia che è molto vicina alla Russia dal punto di vista culturale e commerciale. Si consideri la Siria. Il conflitto sembra in pausa ma quella guerra sta andando avanti dal 2011 con la Russia direttamente impegnata dal 2015. Poi c’è la questione fra Azerbaijan (quindi la Turchia) e l’Armenia (quindi la Russia). Poi ci sono i disordini in Kazakistan e si arriva all’annosa questione fra Cina e Taiwan. Un’enorme area di instabilità che ci riguarda da vicino. Non dobbiamo quindi concentrarci solo sulla crisi a noi più vicina, ma operare per evitare che altre simili e peggiori esplodano. Lavoro, insomma, per la nostra diplomazia, sempre che sia in grado di fare quello per cui esiste».
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Insomma, il mondo sembra essere diventato (più del solito) una polveriera pronta ad esplodere in qualunque momento. Le aree di tensione sono dislocate a macchia di leopardo ed il protrarsi del conflitto ucraino non lascia presagire nulla di buono. Mentre l’Europa si trova costretta a far fronte alla carenza energetica causata dalle sue stesse sanzioni, la Russia, che nel frattempo ha stretto alleanze più salde nel macro-blocco euroasiatico, sembra non voler arretrare di un passo. L’unica soluzione per chiunque abbia un minimo di buonsenso dovrebbe essere quella di avviare intensi tavoli diplomatici dislocati nelle aree di maggior interesse, ma la Nato sembra voler continuare a perseguire la via dell’invio delle armi e dell’applicazione delle sanzioni. Se non arriverà presto una spallata a questa situazione, il mondo rischia seriamente di finire nuovamente oltre l’orlo del baratro. Una situazione che deve essere evitata ad ogni costo.

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