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Cassonetti Caritas, cosa c’è davvero dietro. Scoppia lo scandalo: “Altro che vestiti ai poveri!”

Pubblicato il 23/07/2023 12:11 - Aggiornato il 26/07/2023 21:26

Era il 19 maggio del 2020 allorché il piccolo Karim Abdou Bamba, appena 10 anni, morì schiacciato dall’ingranaggio del cassonetto dei vestiti della Caritas a Boltiere, in provincia di Bergamo. Ora, sul fronte giudiziario, importanti aggiornamenti pongono l’attenzione sullo stesso “sistema” dei cassonetti, per lo più in capo alla Caritas e a delle cooperative, per la raccolta degli abiti usati. Ebbene, emerge che vi è chi riesce a lucrare persino su questi ultimi. Forse Karim cercava qualche indumento o un paio di scarpe, forse stava semplicemente giocando. Non lo sapremo mai. In quel tentativo ha trovato la morte per “asfissia meccanica” dovuta a “compressione atipica del collo per incastramento”, in accordo con il responso dell’autopsia. “Appare indubbia la finalità prevalentemente commerciale dell’intera gestione della raccolta degli indumenti dismessi”: così è scritto negli atti con cui il pm della Procura di Bergamo Emanuele Marchisio ha chiesto il sequestro degli stessi cassonetti, ritenuti pericolosi in base a una consulenza, anche per via della “modestia della quota effettivamente destinata a finalità solidaristiche”. Ascoltati gli addetti e coloro che operano in seno a cooperative, strutture e alla stessa Caritas, l’imbarazzante conclusione è che: “Contrariamente alla comune convinzione che gli indumenti raccolti tramite cassonetti del tipo di quelli ove è avvenuto il sinistro per cui si procede siano destinati direttamente – previa adeguata sanificazione o analogo trattamento – alle persone bisognose, il destino degli articoli così raccolti risulta affatto diverso”. (Continua a leggere dopo la foto)
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“30 centesimi al chilo”

Gli abiti vengono ceduti a peso a società commerciali che li sanificano per poi rimetterli sul mercato. Il prezzo al chilo è tra i 25 e i 30 centesimi. In definitiva, appare più un business che non una mera attività caritatevole: “Sono gestiti e trattati come rifiuto, vengono poi ceduti a peso a imprese tessili che li reimmettono sul mercato”. Una parte è usata come pezzame, un’altra come materiale secco da discarica. Ogni anno vengono raccolte in media 150mila tonnellate di rifiuti tessili. Facendo qualche calcolo, è facile individuare un ritorno economico non indifferente. Con il logo della Caritas, il cassonetto che ha stritolato il piccolo Karim era gestito della cooperativa Berakah di Pagazzano – che fa parte della Rete Riuse – e ora la legale rappresentante Laura Adobati, 44 anni, è indagata per omicidio colposo, assistita dall’avvocato Anna Marinelli. Il portellone basculante era a rischio e i cassonetti non erano sicuri, ecco perché il pm parla di “negligenza e imprudenza” ma anche di “assoluto disinteresse”. Contestualmente, poiché “nessuna norma disciplina le caratteristiche costruttive e di sicurezza che quei cassonetti devono presentare”, la Procura di Bergamo ha quindi chiesto al giudice il sequestro preventivo in tutta Italia. Secondo i consulenti del pm, tre modelli di cassonetti sono pericolosi. (Continua a leggere dopo la foto)
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Beneficenza… o business?

Dunque, contrariamente a quanto si pensa, quegli indumenti non sono tutti destinati ai bisognosi. I rapporti delle Caritas e delle associazioni e cooperative con le Diocesi dipendono da città a città, leggiamo sul Corriere della sera. Per Milano, Brescia e Bergamo viene riconosciuta una percentuale del 10% del prezzo di cessione, in cambio dell’utilizzo del logo Caritas. Come se non bastasse, “ulteriore ritorno sociale” di tale attività sarebbe rappresentato dall’impiego di soggetti in situazione di disagio economico, argomenta il pm Emanuele Marchisio. Ma, ci chiediamo a questo punto, non senza una punti di sgomento e una certa indignazione, la mission caritatevole? Lo stesso Don Roberto Trussardi, direttore della Caritas di Bergamo, si esprime così: “A noi viene data una percentuale dalla vendita degli abiti usati che può essere dell’8% o del 10-12%. La utilizziamo per diverse progettualità per persone in difficoltà, cito per esempio il dormitorio del Galgario che ogni notte ospita 80 persone”. (Continua a leggere dopo la foto)
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La tragedia di Karim e i precedenti

Vi sono, purtroppo, dei precedenti: il 13 maggio 2022 un ragazzo ceceno a Mestre, il primo ottobre 2022, a Torino, un ragazzo marocchino di 22 anni, hanno perso la vita in circostanze analoghe. Ma è accaduto anche nel 2006, a Senago e nel 2007 a Prato. Tornando alla vicenda del piccolo Karim, al di là delle “progettualità per persone in difficoltà”, si evince un ritorno economico che francamente non sospettavamo. Quando è accaduto l’episodio, i Vigili del Fuoco hanno dovuto smontare il cassonetto dei vestiti per liberare il piccolo. Pochi minuti Karim è stato trasportato d’urgenza presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove però è morto poco dopo il suo arrivo, a causa delle gravissime lesioni riportate dopo lo schiacciamento. Karim era uno dei 5 figli di un uomo originario della Costa d’Avorio e di una donna italiana, regolarmente assistiti dalla stessa Caritas per via del loro stato di indigenza.

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