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In 3.000 perdono il lavoro in un attimo. La multinazionale chiude in Italia e butta via i suoi lavoratori: “Usa & getta!”

Pubblicato il 13/07/2023 16:46

Già in un altro articolo parlammo di schiavismo 2.0, secondo una definizione diffusa e piuttosto efficace per indicare i rider, quei ragazzi che, col sole, con la pioggia o sotto la neve, fanno chilometri in bicicletta o in motorino per consegnare cibo a domicilio e che non godono della pressoché minima tutela. Ecco una nuova conferma alla loro condizione di sfruttati senza protezione sindacale: dal prossimo sabato 15 luglio, Uber Eats, costola del servizio di trasporto pubblico privato, lascerà l’Italia. Lo stop delle consegne a domicilio viene giustificato con le mancate aspettative “necessarie a garantire un business sostenibile nel lungo periodo”, secondo l’azienda. Ce ne faremo una ragione, verrebbe da dire, se non fosse che ben 3.000 rider – o fattorini, perché esiste anche la lingua italiana – ora si trovano di fatto buttati in mezzo a una strada, emblema della fase terminale di un capitalismo sempre più etereo e predatorio: essendo, i riders, impiegati come collaboratori autonomi occasionali e partite Iva, non hanno diritto ad alcuna forma di ammortizzatore sociale. (Continua a leggere dopo la foto)
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uber eats lascia 3.000 riders

Manifestazioni in dieci città

Ecco perché, domani, alla viglia dello stop delle attività in Italia di Uber Eats, sono previsti presidi e manifestazioni a Roma, Milano, Firenze, Torino, Reggio Calabria, Perugia, Napoli, Caserta, Padova, Trieste, anche se, purtroppo, dubitiamo possano servire a qualcosa. “Il comportamento di Uber Eats è inaccettabile – commenta Roberta Turi, segretaria nazionale NIdiL CGIL – Le piattaforme e le multinazionali non possono considerare il nostro territorio e la nostra forza lavoro ‘usa e getta’, senza nessuna responsabilità sociale”. Insomma, oltre al danno la beffa. A parte una ovvia considerazione su come nel nostro Paese i sindacati si mobilitino solo a fatto compiuto, diamo atto che la nota della Cgil parla di “cottimo legalizzato” e “lavoratori di serie B”. Roberta Turi prosegue: “La nostra è una battaglia per i diritti di tutti i lavoratori delle piattaforme, contro i bassi salari che non permettono alle persone di vivere, anche se lavorano; affinché non esistano più forme di cottimo legalizzato, ma tutto il tempo di lavoro venga retribuito”, come si legge, tra le altre testate, su LiveSicilia. E adesso? Il Food Delivery si conferma una sorta di Far West senza tutele né diritti. (Continua a leggere dopo la foto)
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uber eats lascia 3.000 riders

La (tardiva) proposta Ue

Anche l’Unione europea, un po’ come i sindacati, si accorge tardi del problema, forse perché troppo presa dalla nuova ossessione Green, e dunque i 3.000 fattorini di Uber Eats non riusciranno a beneficiare della “Proposta relativa al miglioramento delle condizioni nel lavoro mediante piattaforme digitali”, su cui appena il mese scorso si sono accordati i ministri del Lavoro dei 27 Paesi membri, che vede quale punto principale e più innovativo precisamente l’inquadramento di tali lavoratori come dipendenti, e non più come lavoratori autonomi.

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