di Gianluigi Paragone.
In queste ore si fa un gran parlare dell’ennesima giravolta dei Cinquestelle, stavolta sul caso Autostrade/Benetton. Potremmo anche noi infierire sul corpo molle e corrotto dei grillini, sulla loro incapacità a tenere il punto una volta che fosse una, ed elencare i ripensamenti dall’Ilva ai risparmiatori truffati dalle banche (che ancora non hanno visto un centesimo), dall’Europa al “mai col Pd, quelli di Bibbiano”, passando per il tradimento verso Nino Di Matteo. In attesa di vedere l’ultimo capitombolo sul Mes e sulle deroghe ai secondi mandati dopo il fantastico mandato zero, così da salvare il posto alla ditta pentastellata.
Il tema tuttavia non è più misurare quanto siano mendaci, falsi, ipocriti e bugiardi quelli del Movimento (tanto…), quanto riflettere sulla consistenza degli impegni rispetto agli elettori; quanto conti la parola per un politico, quanto un impegno elettorale lo vincoli rispetto a una comunità di elettori. Il tema me lo posi io per primo all’indomani del “divorzio” da chi mi aveva candidato. Ripensai così alle parole che io pronunciai in campagna elettorale, ripresi i tour che feci sotto quelle insegne e lì trovai la risposta: ho sempre detto ciò che dico ancor oggi.
Sulla necessità di rovesciare le reti relazionali del sistema e i suoi potentati non sono mai retrocesso di un passo; tanto che mai avrei accettato di riconfermare i vari Descalzi, Starace, Profumo e compagnia varia alla guida delle partecipate di Stato. Sull’inconsistenza del progetto Ue e sul fanatismo che regge l’eurozona sono rimasto coerente. Sulla questione Ilva idem. Sull’impegno a risarcire i risparmiatori truffati dalle banche idem. Sulla incompatibilità politica rispetto al Pd idem. Sull’importanza di tenere sotto il pubblico beni fondamentali come l’acqua idem. Insomma, sui temi politici ho tenuto fede alla parola data agli elettori, perché era la mia parola. Perché ci credevo e ci credo. E soprattutto credo nella politica.
Il caso Autostrade/Benetton è dunque l’ultimo pezzo di un inganno che di corruzione ideologica. I capiclasse grillini non credevano in nulla di ciò che dicevano, ripetevano a pappagallo senza capire. Il passaggio dalla predicazione all’azione presuppone la messa a fuoco della quaestio e la relativa fatica che si produce per sostenere l’azione. Essere contro il sistema significa affrontare la tempesta. Questi, al primo refolo di vento, si sono scansati spaventati per paura di perdere ciò che avevano appena raggiunto col voto di un popolo speranzoso di cambiamento. Un cambiamento tradito.
Sulla revoca delle concessioni e sulla vicenda Benetton, ancora una volta abbiamo assistito alla peggior melina politicante e al peggior teatrino (, dicono dai banchi del Movimento confermando quanto siano grulli). Ora che la Consulta ha rigettato il ricorso di Atlantia, il governo accelererà.
Torniamo così al punto: se la politica – che sul caso spese parole tranchant – ha paura di assumere decisioni allora eviti di parlare. Se cade un ponte autostradale provocando 43 morti e creando oltre al dramma umano anche scompensi alla città e alla sua economia, la politica non può aspettare il giudizio dei giudici perché vorrebbe dire neutralizzare la politica stessa.
Torniamo così al peso delle parole spese per costruire una comunità: creare un glossario politico significa preparare con quel glossario la battaglia, l’azione. Aver paura delle parole spese significa cominciare a perdere e costringere se stessi alla più squallida delle ritirate. E’ quel che accade ai questi imbarazzanti gitanti pentastellati, pavidi bugiardi al guinzaglio del Sistema.