Non possiamo permetterci un’altra chiusura della scuola. La perdita in termini di apprendimento per gli studenti da marzo è stata molto grave e si teme che con un ulteriore blocco dell’attività didattica in presenza, la perdita possa essere irrecuperabile. L’Onu si pronuncia in merito e avverte: “sarebbe una catastrofe generazionale”.
L’estensione e la durata dell’attuale chiusura è senza precedenti nei paesi ad alto reddito. Dati scientifici e certi sulle conseguenze date da una così prolungata chiusura delle scuole non sono disponibili, però alcune conseguenze sono immaginabili e più che plausibili.
Basti pensare che, stando a quanto riferito da alcuni studi, che riprendiamo dall’Internazionale, durante le lunghe vacanze estive i bambini statunitensi perdono tra il 20 e il 50 per cento di quello che hanno imparato durante l’anno.
Uno studio del 2019 condotto sugli studenti argentini che negli anni ’80 e ’90 persero fino a 90 giorni di scuola a causa degli scioperi degli insegnanti, ha evidenziato che queste persone avevano faticato di più a laurearsi e a trovare un lavoro, e guadagnavano in media il 2-3% in meno rispetto ai coetanei cresciuti nelle aree meno interessate dalle proteste.
Tra le criticità che porta con sè la pandemia, vi è sicuramente l’allargamento della forbice sociale, aumentano le disuguglianze sociali. Si amplia il divario tra persone provenienti da contesti economicamente svantaggiati e studenti più benestanti. Non è difficile immaginare che bambini più poveri potrebbero avere connessioni internet scadenti, potrebbero dover condividere i dispositivi e le loro case potrebbero essere sovraffollate o rumorose. Ioltre, bambini provenienti da tali contesti familiari più povere, hanno anche meno probabilità di avere genitori istruiti che li spingono a seguire le lezioni a distanza e che li aiutano con i compiti.
Nel frattempo in Italia la situazione resta critica e tutto ruota attorno a un enorme punto interrogativo. Resta ancora un mistero ad esempio l’esito che avrà il bando per la produzione deibanchi, con il più che fondato sospetto, come avverte la Repubblica, che le forniture arrivino dopo l’apertura delle scuole.