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50 miliardi di euro: ecco quanto la burocrazia mangia alle imprese italiane

Pubblicato il 11/05/2020 11:21

Ci si è perfino stancati di dire quanto la burocrazia in Italia sia una vera zavorra per i cittadini e soprattutto per le imprese. Eppure la stampa non deve mai smettere di pungolare la politica su questo fronte, portando dati, raccontando storie, fotografando realtà. Sì, perché se lo Stato è al collasso e ha una ripresa più difficile degli altri è anche per colpa della burocrazia. Una sbrurocratizzazione del sistema è più che mai necessaria e, questa sì, emergenziale. Il nostro è uno Stato che – come spiega Marco Ruffolo su Affari e Finanza – per la cattiva organizzazione della sua burocrazia “infligge alle imprese ogni anno una perdita di 55 miliardi, la stessa cifra che il governo si accinge a dare come aiuti post-Covid con il decreto di maggio”.

Mentre sta per arrivare la nuova ondata di aiuti, quelli decisi a marzo e aprile si sono in gran parte impantanati “tra circolari interpretative, pareri e regolamenti diversi tra regione e regione”. Se poi alla burocrazia pubblica aggiungiamo quella bancaria, il quadro diventa ancora più fosco. Spiega ancora Ruffolo: “Solo il 2,6% dei potenziali beneficiari della cassa integrazione in deroga (i lavoratori più deboli), e il 5,3 di quelli che l’hanno chiesta vi ha potuto accedere. L’Inps l’ha pagata a 67.746 lavoratori, contro una platea potenziale di 2,6 milioni e quasi 1,3 milioni di domande (secondo una stima Uil). Un’inezia. Ma non è finita, perché anche un altro caposaldo delle manovre fin qui prodotte dal governo – i prestiti da 25 mila euro alle piccole imprese con la garanzia totale dello Stato – si sta rivelando un flop. Su una platea potenziale di 5 milioni 250 mila aziende e partite Iva, le domande che le banche hanno fatto pervenire finora al Fondo di garanzia sono circa 70 mila, l’1,3% del totale”.

Questo, dunque, è il modo in cui il governo sta sostenendo i lavoratori inginocchiati dalla pandemia e dal conseguente lockdown. Le Regioni, dal canto loro, hanno pensato bene di produrre venti regolamentazioni diverse, “venti varianti a sorpresa di un iter già di per sé farraginoso: per dare i soldi ai lavoratori, ci vuole prima l’accordo sindacale, poi la domanda alla Regione, che deve fare un decreto e inoltrare la richiesta all’Inps, il quale apre un’istruttoria e decide se autorizzare la cassa in deroga. Il tutto con tempi e regole differenti”.

Ivana Veronese, segretaria confederale Uil, dice che “sembra di assistere a un preoccupante gioco dell’oca che per giunta cambia da regione a regione”. E dopo la gimkana regionale, comincia l’istruttoria dell’Inps, i cui dipendenti sono letteralmente soffocati dal lavoro, costretti a fare in poche settimane il lavoro di 5 anni. Il risultato è che finora quasi il 95% di coloro che han-no chiesto la cassa in deroga, non l’ha avuta. Conclude Ruffolo: “Dove non arriva la disorganizzazione di Stato e Regioni, arriva la non sempre casuale burocrazia bancaria”.

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