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“Qatargate, ecco chi c’è dietro”. Dagospia sgancia la bomba sullo scandalo: “Chi manovrava davvero i fili”

Pubblicato il 22/12/2022 13:25

Vi abbiamo raccontato in questi giorni, attraverso le pagine del Paragone, degli sviluppi dello scandalo Qatargate, che dopo aver scosso l’Europarlamento potrebbe presto interessare anche la Commissione Europea. Non bastasse, in queste ore ecco emergere altre, clamorose rivelazioni sugli sviluppi che potrebbero prendere le indagini. Stando a quanto pubblicato da Dagospia in un retroscena, infatti, potrebbe esserci addirittura la “manina”, o meglio manona, degli Emirati Arabi Uniti, storici rivali di Doha nel Golfo Persico. La testata ha parlato di un possibile coinvolgimento del presidente emiratino, Mohamed bin Zayed bin Sultan Al Nahyan, “che avrebbe lasciato campo libero” a suo fratello, Tahnoun bin Zayed Mohammed Al Nahyan, consigliere della sicurezza nazionale dello stato arabo. (Continua a leggere dopo la foto)

Secondo Dagospia “sarebbe stato proprio Tahnoun, capo de facto dei servizi segreti di Abu Dhabi, a spifferare tutto al Belgio, innescando la valanga che sta travolgendo il Parlamento europeo”. Tahnoun bin Mohammed, ha scritto la testata, “sta tentando una maxi operazione finanziaria in Israele. Tramite la holding Abu Dhabi ADQ Developmental, guidata proprio dal fratello del presidente, gli Emirati hanno tentato di comprare una quota significativa della prima compagnia assicurativa dello stato ebraico, il gruppo Phoenix, che controlla la quota più importante di fondi pensioni di Gerusalemme”. (Continua a leggere dopo la foto)

Tahnoun però si sarebbe trovato di fronte un secco no da parte del governo israeliano. E a quel punto si sarebbe giocato “la carta degli accordi di Abramo, l’intesa siglata tra Israele e Emirati Arabi per la normalizzazione dei rapporti diplomatici, ma niente”. Un rischio, per Israele, troppo grande, nonostante la recente svolta nei rapporti tra i due Paesi. (Continua a leggere dopo la foto)

Secondo Dagospia, però, Ma Tahnoun bin Zayed “non avrebbe accettato il no, e starebbe spingendo per chiudere comunque l’operazione, rendendola la prima grana da sbrogliare per il nascente governo di Benjamin Netanyahu”.

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