Si era parlato a lungo delle sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina, a partire dal famigerato stop alle importazioni di gas e petrolio. Una scelta discussa, anche dalle nostre parti, ma portata avanti fermamente da Bruxelles nella convinzione che sarebbe servita a piegare la volontà di Vladimir Putin. Come rivelato dal Fatto Quotidiano, però, il ricco business dell’oro nero non si è affatto fermato, anzi: nella punta meridionale del Peloponneso le operazioni di trasferimento di petrolio russo da nave a nave avvengono quotidianamente, nonostante l’embargo Ue. Secondo S&P Global, più di 10 milioni di barili di greggio provenienti da Mosca sarebbero stati scambiati in mezzo al mare nel mese di maggio, dei quali almeno 2 milioni trasferiti al largo della Grecia. (Continua a leggere dopo la foto)
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Il Fatto Quotidiano ha riportato alcuni esempi di operazioni “ship to ship”, da nave a nave, recenti: il 4 giugno l’imbarcazione Gem N.3 è entrata nel porto di Laconia e si è avvicinata alla Dale, petroliera proveniente dal porto russo di Novorossijsk e gestita dal gigante svizzero Trafigura. Le navi sono rimaste affiancate per giorni, poi la Gem N.3 è ripartita carica di petrolio. Una parte è stato successivamente scaricato a bordo di un altro mezzo, la Star C, diretto verso l’Egitto. (Continua a leggere dopo la foto)
“Il business del petrolio non si ferma”. Così aggirano l’embargo
Tra i “noleggiatori” che gestiscono questo traffico di greggio ci sono anche grandi aziende occidentali legate al petrolio, come la britannica British Petroleum (Bp), la svizzera Trafigura e l’italiana Eni. Quest’ultima, secondo il Fatto, avrebbe effettuato due operazioni nel Golfo di Laconia, con carichi di gasolio scaricati a Ravenna e Venezia. (Continua a leggere dopo la foto)
In questo nuovo equilibrio, l’India è diventata il cuore delle operazioni: prima della guerra non importava petrolio russo, ma adesso a Sikka ne arriva in grandissima quantità e spesso riparte verso l’Unione Europea. Non ci sono prove che le operazioni svolte siano illecite, ma finiscono ovviamente per eludere le sanzioni. Guerra o non guerra, insomma, il business del greggio non si ferma. Anche perché nessuno sembra veramente intenzionato a interromperlo.