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Patentino per i vaccinati, nel Lazio di Zingaretti già a metà febbraio

Pubblicato il 27/01/2021 16:49

Si procede a ritmo spedito per il cosiddetto “patentino vaccinale”, in mezzo a un mare di polemiche. A lanciare la volta finale ora è Fabrizio Pregliasco. Per il virologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi potrebbe essere un passo avanti per, ad esempio, riportare la gente negli stadi che oggi “sono vuoti, non c’è il pubblico. Perché non consentire a chi ha ricevuto anche la seconda dose del vaccino di andare in tribuna? Così, gradualmente, riporteremo persone negli stadi. Un modo per riavvicinarsi alla normalità”, ha detto. (Continua a leggere dopo la foto)

Cominciano a interessarsi alla cosa, spiega Pregliasco al Il Messaggero, anche le compagnie aeree che “vedono in questo strumento la possibilità di recuperare un numero sufficiente di passeggeri che voleranno in sicurezza. Ma i contesti in cui applicare questo certificato sono molti, anche in ambito lavorativo”. L’idea ha cominciato a girare anche tra le stanze dell’Unione europea, mentre in Italia sono già diverse le Regioni che si sono convertite al passaporto per il vaccino contro il Coronavirus: tra queste, il Veneto, l’Emilia-Romagna, il Lazio e la Campania. (Continua a leggere dopo la foto)

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Ed è proprio nella Regione guidata dal segretario del Pd Nicola Zingaretti, il Lazio, che il patentino dovrebbe arrivare per primo. L’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato spiega che “saranno Governo e parlamento a decidere come utilizzarlo”, ma il Lazio proverà a vararlo, come riporta Open, già da metà febbraio. Ai vaccinati contro il Covid sarà rilasciato un certificato vaccinale scaricabile online. Ma solo dopo aver ricevuto la seconda dose di farmaco. (Continua a leggere dopo la foto)

Il patentino “permetterà” a chi lo avrà di ricominciare una vita quasi normale: cinema, teatri, palestre, aerei saranno ad accesso libero. Per tutti gli altri, niente. Il professor Francesco Le Foche, immunologo-infettivologo al Policlinico Umberto I di Roma, lo vede infatti come “una vera e propria discriminazione sociale che verrebbe a creare cittadini di serie A e cittadini di serie B”.

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